Capitolo 3

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Non so che ore siano forse le 4 del mattino...
Sono sdraiata sul letto a fissare il soffitto, lo faccio spesso quando mi sveglio troppo presto e non riesco ad addormentarmi. Fisso il soffitto e penso.
Penso.
Le lacrime iniziano a bagnarmi le guance giocando ad acchiapparella fino a finire tra i miei capelli o sulle mie labbra.
Non piango spesso ma quando lo faccio é perché ne ho bisogno. Piangere fra stranamente bene come se con le lacrime espellessi anche il dolore e le preoccupazioni.
Piangere ti fa sentire libera.
E quando smetti  c'è solo pace e tranquillità. Silenzio, non c'è eco di alcun pensiero o emozione la tua mente sventola bandiera bianca e ti lascia lì seduta o sdraiata da qualche parte del mondo tranquilla finalmente. Vuota.
Per la maggior parte delle persone l'apatia é una cosa negativa,perche è come se avessi spento un interruttore. Quello dei sentimenti.
Per le persone come me invece, con la testa sempre in guerra é solo pace. Pace é basta. Quei pochi minuti in cui non ti devi preoccupare della confusione in testa o dei pensieri contrastanti, non ti devi preoccupare di avere una crisi di rabbia o un attacco di panico, quei pochi minuti in cui sei normale. O quasi.
Un piccolo sorriso mi sfugge per essere poi annegato fra le lacrime.
La prima volta che avevo espresso i miei pensieri su questo era stato qualche anno fa con la mia migliore amica, Scarlet. La conoscevo da sempre ed era per me una sorella. C'era sempre stata e c'era anche in quel momento in cui volevo solo sprofondare per non riemergere mai più. Quel momento in cui a causa di una persona, una sola insulsa piccola persona, alle mie crisi di rabbia si erano aggiunti attacchi di panico e la mia mente era esplosa mandando in giro per il cervello informazioni a caso. Quel momento in cui ho capito che la amicizia può essere più dannoso del amore e che un cuore frantumato da un amico, da quello che credi un fratello e peggio di qualunque cosa.
Lei era lì, mi aveva consolato e mi aveva fermato anche quando mi ero rotta le mani a forza di tirar pugni all'armadio, anche quando avevo urlato talmente tanto da sfracellarmi le corde vocali. Negli anni lei era diventata la mia ancora, l'unica persona che poteva tranquillizzarmi, l'unica che poteva tirarmi fuori da quella fossa che mi stavo scavando a mani nude ogni giorno. Lei mi aveva insegnato che era inutile struggersi su qualcosa che non si poteva cambiare che era lì e che andava accettato, era stata questa frase a cambiare tutto queste 17 parole mi avevano spronato a migliorarmi a provarci almeno. Piano piano gli attacchi di panico erano spariti e le crisi di rabbia migliorate fino a sembrare normali. Era rimasta solo la confusione, quella terribile guerra nella mente che forse non se ne sarebbe mai andata.
Sbuffo,ricordare la mia migliore amica mi fa male. L'ho lasciata da sola quando aveva bisogno di me.
La morte dei suoi genitori l'ha portata alla pazzia. L'ho vista impazzire davanti agli occhi, l'ho vista avere crisi isteriche come le mie fino a tentare di strapparsi i capelli o gli occhi,ma quello é stato solo l'inizio... Dopo un po' si è isolata dall'esterno come con un guscio, si è seduta davanti all'armadio ed è stata lì a guardarlo sussurrando parole incomprensibile e tirandoci testate violente fino a lasciare l'impronta. Poi si é alzata e ha camminato, l'unica cosa che faceva era camminare.
La sera prima della mia partenza si è chiusa in casa lasciandomi fuori con la cena in mano, ho visto i suoi occhi mentre si è sprangate dentro e non c'era più nulla di umano.
Il mattino dopo le ho bussato alla porta fino a sanguinare dalle nocche, ma nessuno mi ha aperto nessuno mi ha sentita.
Mi sono obbligata ad andare a lasciarla lì ed è questo che mi distrugge se io avessi insistito se avessi sfondato la porta, perché ne sarei stata capace, lei sarebbe stata qui lei sarebbe stata bene, forse.
Ma probabilmente no perché nel profondo so che la mia migliore amica, la mia Scarlet, é morta con i suoi genitori come una parte di me.

"Jessica svegliati"
Dylan mi assesta uno scossone per svegliarmi.
"che vuoi? " grugnisco rigirandomi nel letto.
" accertarmi che tu sia viva. Su, muoviti dobbiamo andare"
"andare dove? " domando un po' più sveglia di prima.
"ti devo far vedere un posto e poi a casa mia"
" a casa tua? " mi metto seduta sul letto e noto che Dylan si è impappinato.
" si ieri hai detto che non hai una casa... E io abito da solo ormai quindi... C'è se non vuoi... "inizia a blaterare
" Ehy Ehy Ehy fermati" faccio un respiro profondo " mi piacerebbe vivere con te sei un ottimo amico perché no" dico sorridendo sincera mentre lui ricambia con un sorriso a 32 denti.
"dove mi devi portare prima? " domando stiracchiandomi.
" lo vedrai" mi dice uscendo dalla porta e facendomi intuire che devo muovere il culo e prepararmi.
Dopo 10 minuti siamo già in macchina, ho raccatato le poche cose che avevo e mi sono preparata velocemente giusto per non far spaventare le persone in strada.
"allora, dove mi porti? "
" C'è un posto che Cleo non ti ha mostrato "dice continuando a guardare la strada.
" credo che non mi abbia mostrato e spiegato tante cose" borbotto io facendolo ridere.
È la prima volta che vado in Macchina, nel sottosuolo ci spostavamo con una specie di treno ma generalmente andavamo a piedi o occasionalmente in bici o con lo skateboard.
Dylan frena e mi fa cenno di guardare dal finestrino.
"wow" ho la bocca spalancata in una grande O è nessuna intenzione di chiuderla.
Davanti a me c'è un altra cosa che in tutti questi anni ho potuto vedere solo da stupide immagini.
L'oceano.
"Vieni " dice Dylan aprendomi la portiera e aiutandomi a scendere.
Mi avvicino all'acqua mentre lui rimane dietro, il vento mi gonfia i capelli e li muove come in una danza mentre l'acqua mi schizza sul viso.
Urlo e scoppio a ridere come una bambina.
Siamo stati li delle ore fino a che i nostri stomaci non ci hanno implorato di tornare a casa a mangiare qualcosa.

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