- ℂ𝔸ℙ𝕀𝕋𝕆𝕃𝕆 𝕆𝕋𝕋𝕆 -

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Trascorsi i giorni che mi separavano da quel giovedì sera in modo irrequieto. Non ero abituata a tutto questo interesse, a tutto questo amore.

«Pronta?» chiese Margherita quando uscimmo dalla libreria.
«Pronta.»

«Chissà cosa avrà da dirtiii!» esclamò battendo freneticamente le mani come una bimba.
«Ti prego, non stare così gasata. Nulla di interessante. Manco fosse il discorso del Presidente.»
«Già, perché lui è interessante, non quello che dice...» replicò con un sorrisetto malizioso.
La fulminai con lo sguardo.
«No.»
«Ok, ok.» si rassegnò alzando le mani in segno di resa.

Arrivammo in piazza con cinque minuti di anticipo. E sembrarono eterni.
Allungavo continuamente il collo per guardare la strada e controllavo di continuo l'ora.
«Uhuh, siamo agitate...»
«Per nulla. Mi danno solo fastidio i ritardatari.»
«Ma non è in ritardo, siamo noi in anticipo... »
«Una persona puntuale si presenta sempre con un margine di anticipo!».
Sì, l'attesa era irritante, ma un poco ero agitata. O forse tanto, non so.

«Bu!»
Vidi una testa spuntare da sopra la mia spalla.
Mi scansai di lato, portandomi una mano sul cuore per lo spavento.
Margherita ridacchiò.
Finalmente era arrivato. Dopo cinque minuti di attesa.
Incrociai le braccia spazientita e lo osservai.

Aveva indossato una camicia di seta viola, un pantalone nero con i risvoltini alle caviglie. E profumava, tanto. Era anche leggermente abbronzato. E il viola è il mio colore preferito. Adoro i ragazzi che si vestono così...

Anche lui mi osservò, e diede voce a quello che pensavamo l'uno dell'altra: «Sei bellissima stasera. Sei bellissima sempre.»
Sentire quelle parole mi faceva uno strano effetto. Erano pugni per il cervello, e carezze per il cuore.

Intanto Margherita scompariva piano dietro all'angolo e quasi mi fece ridere il modo goffo con cui lo faceva.
Avrei potuto dirgli "anche tu" e abbracciarlo, ma non lo feci.
Mi limitai a dire con gli occhi bassi: «Il viola è il mio colore preferito.»
E tossicchiai.
Lui si guardò la camicia, poi me e inarcò le sopracciglia sorridendo.

«Comunque, arriva al punto.».

Mi prese sotto al braccio e mi accompagnò fino al bar della piazza.
Lo guardai molto male, però alla fine lo lasciai fare.
Scostò la sedia di un tavolino e mi invitò a sedermi. Come fanno nei ristoranti a cinque stelle.
«Posso farcela da sola.»
«Come desidera.»
Si aggiustò la camicia, fiero di averla scelta, e andò a sedersi dall'altra parte del tavolino.

«Estathè?»
«Si, ma me lo pago IO.»
«Certo» ridacchiò.
«Ehi, Fabio! Mi porti due estathè?» urlò al ragazzo che passava tra i tavoli.
Questi si avvicinò e gli sussurrò all'orecchio: «che bel angioletto ti sei trovato!»
«Come, scusa?!» reclamai.
«Mh?» disse con atteggiamento innocente.
«Io lo vado a prendere al banco, tu fatti servire dal tuo amico.»

Così mi alzai, la ragazza al banco mi diede l'estathè e io lo pagai.
Con la coda dell'occhio li osservai. Continuarono a parlare per quei pochi secondi, poi appena io uscii per raggiungere il tavolino, questo tale "Fabio" si dileguò e dopo poco arrivò con la bibita.

«Allora...» chiesi mentre aprivo la lattina, «cosa c'è di tanto urgente?».

«Sii sincera. Io ti piaccio?»
Alzai lo sguardo e lo posai su di lui.
Quelle parole mi rimbombarono un paio di volte nella testa. Mi avevano frastornata.

Deglutii.
Non potevo dirgli che pensavo a lui, che da lunedì mi sudavano le mani perché non vedevo l'ora di incontrarlo, che amavo il suo profumo, che avevo infilato il suo numero sotto il cuscino e mi ci ero dolcemente addormentata sopra...
No, davvero non potevo. Era troppo presto. E non sapevo ancora se far comandare cuore o cervello.

«No, non mi piaci.»
Il cuore mi martellò in petto. Non ero pratica con le bugie.

Mi osservò a lungo, con gli occhi socchiusi come se stesse cercando di leggermi dentro.
«Menti.»
Sorrise.
«Cosa?»
«Si, stai mentendo. Pupille dilatate, muscolatura rigida e...» mi strinse la mano intorno al polso,«...battito cardiaco accelerato. Tutte cause di bugia.»

Mi liberai dalla sua stretta.
Ero davvero così scontata?
O forse era lui che mi capiva, anche senza conoscermi a fondo.

«Senti...» spostai l'estathè «tu non mi conosci, e io non conosco te.»
«Tu dici che non so nulla di te, ma io non la penso così.»
Inclinai la testa e inarcai le sopracciglia, invitandolo a spiegarsi meglio.

«Sei una ragazza insicura, volenterosa e molto brava a scuola. Molti si approfittano della tua intelligenza, e tu rispondi chiudendoti in te stessa e congelando i tuoi sentimenti. Hai tanta paura del giudizio altrui, così fai tu il primo passo e ti crei pregiudizi sugli altri per tenere tutti lontani. E non racconti quasi mai bugie.»

Rimasi semplicemente a bocca aperta. Ebbi il dubbio che fosse uscito da uno dei romanzi "Young Sherlock Holmes" di Andrew Lane.
Ora ne avevo la conferma: non ero io ad essere prevedibile, ma era lui che riusciva a comprendere i miei pensieri, a comprendere me.
«Ti sembra poco questo?»
Guardai a terra. Era tutto così incredibilmente vero, e sentirselo dire da qualcuno faceva uno strano effetto.

«Lo ammetto, qualcosa l'hai capita anche se non so come. Ma ora parlami di te.»
«Va bene. Qualche cosa piccola te la dico, il resto voglio che sia tu a scoprirlo.»
Roteai gli occhi. «Ok.»
«Ho 16 anni, frequento l'artistico. Mi piace lo yogurt.»
«Tutto qui? Hai davvero finito?»
«Si, tutto qui. Ma ora ho una proposta da farti.»
«Non stiamo concludendo un affare.»
«Ascolta e basta.»
Drizzò la schiena e si schiarì la voce.
«Da come ho capito non ti piace il fatto che ci conosciamo poco, e hai paura di aprirti con il primo che passa. Quel bacio ti ha bloccata completamente. Facciamo in questo modo: ricominciamo da zero. Parliamo del più e del meno e diventiamo amici, solo questo.»

Sprofondai sulla sedia.
Sembrava una cosa positiva dimenticare tutto e farsi un'amico, ma una parte di me non lo voleva come amico perché in fondo provavo qualcosa per lui.

«Piacere, Viviana.» allungai la mano cordialmente. «Ho quindici anni e frequento il liceo musicale.»
Sorridemmo entrambi.
Anche lui allungò la mano e ce le stringemmo come due perfetti sconosciuti.

«Ah comunque ho accettato solo perché frequenti l'artistico.»
«Ma...»

Tutta colpa dello yogurtDove le storie prendono vita. Scoprilo ora