- ℂ𝔸ℙ𝕀𝕋𝕆𝕃𝕆 𝕌ℕ𝕆 -

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«Viviana, dai, esci stasera! Abbiamo tutte bisogno di un po' di svago dopo aver studiato così tanto per tutto l'anno...» mi incitò Margherita al telefono.

Margherita è la mia migliore amica, mia sorella. E con sorella non voglio intendere solo il fatto che come differenza di età abbiamo meno di 24 ore, ma piuttosto la nostra totale affinità caratteriale.

Ma ora torniamo a quel sabato sera...

Sarebbero uscite tutte le mie amiche, ma io come al solito volevo rimanere tranquilla nel salotto della nonna a leggere Sherlock Holmes.

Riflettei: è raro che qualcuno, conoscendomi, mi chieda di uscire. E poi non le vedo da così tanto tempo...

Presi coraggio e chiesi il permesso ai miei.

La mamma è sempre contenta quando decido di uscire perchè è davvero un evento più unico che raro, e quindi non ci pensò su due volte a rispondermi "sì tesoro". E papà quasi sempre appoggia quello che dice la mamma.

Per quella sera avevo il via libera.

Andai nella mia stanza e chiusi la porta.

Io, Viviana eterna indecisa, dovevo scegliere cosa indossare...
Credo che le ragazze che stanno leggendo possano capire la mia sensazione di smarrimento quando mi ritrovai davanti a quelle ante rosa.

Così aprii il mio armadio disordinato, che mi costava molte sgridate da mia madre, e ne tirai fuori le uniche due cose che riuscii ad abbinare decentemente: dei pantaloni plissettati color rosa confetto - devo ammetterlo, quei pantaloni aggiungevano tre chili ai miei fianchi. Sembravo realmente un confetto ripieno! - e una maglia con dei ruscioletti bianca.

Dopo essermi fatta trucco e parrucco, scesi per recarmi all'appuntamento.
Prima però mi guardai di nuovo allo specchio, cercando di accettarmi, ma alla fine ci rinunciai e corsi giù per le scale.

Le strade brulicavano di persone - in fondo, era sabato sera! - e io mi sentivo immensamente piccola, schiacciata da tutta quella marmaglia. Una formica, ecco cosa sembravo.
E nessuno avrebbe mai potuto notare una ragazzina bassa e introversa con indosso dei ridicoli pantaloni rosa.

La yogurteria di questo stupido paesino, in cui sono costretta a vivere almeno fino ai venti anni, fa dello yogurt divino, quindi un salto lì è d'obbligo.

Entrammo tutte insieme, ma io ordinai per prima. Loro sanno bene che sono una persona abitudinaria, che evita di rompere l'equilibrio delle cose, forse per paura, forse perchè amo tutto così com'è...Fatto sta che ormai anche la signora dolce dal sorriso permanente della yogurteria conosce le mie preferenze di yogurt: kinder bueno, kinder cereali e sopra ciambelline al miele. Era soffice come le nuvole e dolce da farti diventare diabetica. Un assaggio di paradiso concesso a noi poveri esseri mortali.

Fui servita per prima e uscii fuori ad aspettare le altre. Prima però dovetti farmi largo tra le persone che attendevano sull'uscio.
Una volta uscita mi poggiai con la spalla sinistra al muro e iniziai a mescolare lo yogurt così da far andare le ciambelline all'interno.

All'improvviso uno dei tanti ragazzi della folla brontolò e iniziò a sbuffare. Guardava me e poi subito a terra.
Alzai lo sguardo dallo yogurt, anche se era molto più interessante di lui, e ricambiai il suo sguardo.

Qualcosa in lui mi colpì.
Era in un certo senso diverso dagli altri.
Poteva avere più o meno la mia età, anzi forse un anno in più. Non era molto alto, ma abbastanza da esserlo più di me. Fisico asciutto. La sua carnagione era olivastra, simile alla mia. Lentiggini. Aveva le lentiggini. Aggraziati puntini colorati che gli coprivano il naso e le guance. I suoi occhi erano scuri, profondi come due buchi neri, erano in grado di risucchiarti, ti incantavi nel guardarli.

E io mi lasciai incantare.

Per un attimo pensai: "è davvero bello", poi però rimossi subito quel pensiero dalla mia mente.

"No. Stupida. L'amore è solo una distrazione dalle cose che sono davvero utili. E tu, se vuoi raggiungere i tuoi obiettivi, non puoi permettere che un'emozione ti annebbi la mente."

Tutta colpa dello yogurtDove le storie prendono vita. Scoprilo ora