Capitolo 6

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La casa di Harry non è molto grande, una volta entrati c’è un piccolo corridoio che porta al salotto. Nel salotto c’è un divano a due posti di pelle banca, un tappeto violetto in tinta con le tende delle finestre, un mobiletto è appoggiato al muro opposto e sopra c’è un televisore.

Il divano divide la cucina dal salotto. Essa è semplice, giusto i mobili e gli elettrodomestici e il tavolo con quattro sedie. C’è anche una porta-finestra molto grande che illumina l’intera stanza e che porta ad un giardino piccolo e curato.

Nel giardino ci sono giusto una siepe tagliata perfettamente e un dondolo, Louis fa subito la voglia per andare a sedersi là, ma è novembre e piove.

Dal salotto, poi, c’è una scala che al piano di sopra dove Harry gli ha detto che ci sono due camere da letto e un bagno.

“È così accogliente” sussurra Louis, tirando piano il bordo della felpa che indossa.

Ha freddo e sonno, ed è pure terrorizzato perché Harry vorrà sapere cosa ha provocato l’attacco di panico, perché non ha smesso un secondo di piangere e perché non sia voluto andare a casa sua.

“Hai freddo?” chiede, appunto, Harry prendendo le sue piccole e fredde mani tra le proprie, così calde e grandi.

Louis annuisce, indica con un gesto vago il divano e chiede se può dormire, perché ha sonno. Dio, ha così tanto sonno.

Vuole solo sprofondare nel cuscino e dormire per le prossime due settimane, senza che nessuno lo disturbi, senza neanche un pensiero per la testa.

“Oh, ma certo!” esclama Harry, prendendogli la mano e portandolo verso le scale e poi di sopra, nella sua camera da letto, deduce Louis.

“Ti do qualcosa di mio, così almeno stai più comodo, okay?” propone Harry, cominciando a frugare nell’armadio di fronte al letto a baldacchino. Poco dopo tira fuori una t-shirt e dei pantaloni della tuta corti.

Louis ingoia il groppo che ha in gola e chiede, sussurrando piano: “Hai qualcosa di lungo?”.

Harry lo guarda per qualche secondo, studiando il suo corpo, e Louis vuole solo sprofondare, non si piace. Non può farci nulla.

Però il professore sorride debolmente, perché Louis in realtà è così bello, con quella insicurezza, il rossore sulle guance quasi sempre presente quando Harry gli sorride, le mani che torturano il bordo della felpa, le labbra sottili coi piccoli segni di denti, i suoi occhioni blu lucidi, i suoi capelli caramello e le sua guance e il mento e la mascella, con una barbetta scura, ma morbida.

“No, mi spiace” sussurra Harry, avvicinandosi e porgendogli i vestiti, “Io sono quasi una stufa vivente, se vuoi alzo il riscaldamento, o ti do un’altra coperta o beh…” si morde la lingua prima che possa dire o magari dormiamo insieme, perché non gli sembra una cosa molto saggia da dire al suo alunno.

Louis si stringe al petto i vestiti di Harry e ne annusa l’odore, cercando di non farsi notare, ma Harry lo nota e allora propone la cosa lo stesso: “Se vuoi, posso dormire con te?”.

E okay, gli occhi di Louis brillano di speranza, quindi, forse ha-- di speranza? Com’è possibile?

“Io…” Louis biascica qualcosa di alquanto incomprensibile e, quindi, il riccio gli chiede di ripetere e si stupisce quando Louis gli dice che gli piacerebbe.

Alla fine dormono insieme, Louis con il viso schiacciato contro il petto di Harry resta addormentato tutta la giornata e anche la notte, Harry si sveglia e si riaddormenta a intervalli.

Intervalli che passa e sfiorare i contorni dei lividi di Louis, dei tagli (per fortuna Harry è sicuro che non sono da autolesionismo) di Louis e del tatuaggio che sbuca appena dalla scollatura della maglia.

Ed è quando Louis si muove nel sonno, stringendo in un pugno la maglia di Harry e respirando in modo irregolare che il professore capisce di essere perso per Louis. 

The Fault In His Green Eyes || Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora