Jaguar (o qualcosa del genere)

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Indosso un aderente tubino color grigio chiaro e una scarpa nera dal tacco vertiginoso. Il trucco, leggero ma efficace, mette in risalto gli occhi glaciali. Mi guardo qualche secondo di troppo allo specchio, e finisco per percorrerne ogni difetto. La fronte un po' troppo alta, il naso non perfettamente regolare. Cos'ho di attraente?

Non me ne sono mai curata particolarmente. La mia prospettiva è chiara e semplice: non credo nei canoni, tanto meno nelle definizioni classiche di bellezza. Per questo motivo non sono state le imperfezioni del mio viso e del mio corpo a farmi sentire a disagio, no di certo. Ho avuto periodi in cui mangiavo un po' di più; conseguenza diretta, la bilancia pendeva pericolosamente verso numeri più grandi. Non ha mai fatto una piega, per me. Ho sempre cercato di amarmi per quella che ero.

Eppure , quando scendendo gli scalini Victor mi sussurra ''Sei bellissima'' sento il cuore fare almeno una dozzina di capriole. Un bel giacchetto scuro gli ripara il petto coperto da una leggerissima camicia bianca.

''Anche tu sei bellissima'' gli rispondo scherzosamente, allentando la tensione. Mi precede lungo il vialetto e rimango stupefatta dalla sua costosissima automobile nera, una Jaguar o qualcosa del genere, di cui prontamente spalanca la portiera.

Arrivati al ristorante, siamo già nel bel mezzo di una vivace conversazione. E' incredibile notare quanto basti poco per rendere piacevole il tempo: la terra sotto i piedi e una persona accanto con cui condividere l'ebbrezza di un momento. Niente di così semplice che sia così difficile da trovare, da imitare.

Il posto è molto carino, non troppo appariscente ma elegante. Suppongo l'abbia fatto per venirmi incontro, dato che evidentemente sono il genere di persona che si presta meglio alla semplicità. In realtà, anche lui mi sembra un ragazzo alla buona.

''Allora, come ci si sente a essere il boss?'' gli domando davanti un bel bicchiere di vino, sorridendo mio malgrado.

''Non potrei stare meglio. Certo, ci sono non poche rogne. Ma non mi lamento.'' l'espressione ammiccante mi fa sciogliere.

''Anche io sto benone. Oggi una signora al telefono non si è addirittura messa a piangere.''

Le mie parole lasciano intendere le posizioni che ricopriamo. Io, la dipendente. Lui, il capo. Ridacchia un po', ma il suo sguardo si mantiene dolce e indulgente, per niente superiore.

''Non sono sempre stato un riccone, sai? Quando ero piccolo vivevo a Londra e non avevo tanti soldi. Ma ero così ambizioso e dedito agli studi che ce l'ho fatta. Per la mia famiglia, ma soprattutto per me. Quando si vuole qualcosa, l'unica cosa che bisogna attendere è il tempo. Farai grandi cose, Clara.'' lo guardo senza parlare, quindi continua, prendendomi la mano. Sento la pelle pizzicare per il contatto con la sua.

'' Tu sei diversa. Non saprei spiegarti come, ma l'ho capito subito. Forse mi sei semplicemente piaciuta dall'inizio, e i sentimenti non hanno bisogno di spiegazioni. So solo che c'è qualcosa in te che rende impossibile staccarti gli occhi di dosso. Sarà stato il muffin.''

''Sarà stato il muffin'' gli rispondo io, incapace di mantenere ferma la voce o di non addolcire inevitabilmente il viso.

La serata passa così velocemente che in men che non si dica è arrivato il momento di salutarci. la consapevolezza del commiato, ormai prossimo, mi rende triste e desolata.

Avete mai voluto non interrompere un momento? Come se un piccolo attimo di distrazione potesse risultare fatale e rompere l'incantesimo.

Forse la magia di quest'uomo è che, quando il filo sembra spezzarsi, alla fine non si spezza mai. Eppure è la paura di vederlo andare via ad accarezzare il mio cuore in corsa. Anche ora che sto osservando il suo profilo perfetto ho paura che possa lasciarmi, scoppiare come un palloncino. Una parte di me ha timore che possa rimanere, che l'equilibrio si spezzi e che il sogno semplicemente finisca, senza preamboli.

Il mio dolce capoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora