EREN

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Esco dall'ascensore e mi ritrovo nell'atrio, dove posso finalmente tirare un sospiro di sollievo. Per mia fortuna, essendo già abbastanza tardi, è quasi del tutto vuoto e posso permettermi di uscire dall'ingresso principale senza paura di essere visto.

Mi ritrovo nel solito parcheggio, dove noto anche l'auto di mio padre, così capisco che oggi faccia doppio turno e che sia sicuramente già venuto a conoscenza di quanto accaduto al mio arrivo. Mi sembra strano che non sia già venuto a rinfacciarmelo, ma probabilmente i suoi pazienti al reparto di pneumologia devono averlo trattenuto troppo a lungo.

Decido di non pensarci e oltrepasso l'intero parcheggio -che non è neanche così grande, a dire il vero- per tornare nel giardino, unico punto che mi piace per davvero, di questo posto.

Mi sdraio di nuovo sul bordo della fontana, rilassamdomi con il rumore dell'acqua che continua ad uscire indisturbata. Sento dei brividi di freddo percorrermi la colonna vertebrale e mi stringo istintivamente nelle spalle. Per mia fortuna, mi è sempre piaciuto il freddo invernale.

Provo a chiudere gli occhi per qualche minuto, sentendo il gelo che entra ed esce indisturbato dai miei polmoni, ma presto la voglia di mettermi a contemplare le stelle e la luna diventa ingestibile e decido di non attendere oltre per riaprirli. Ormai abituato al cambio di temperatura, incrocio le braccia dietro la testa e lascio che una gamba penzoli giù dal bordo della fontana, a pochi centimetri dal suolo.

Provo a godermi quella tranquillità senza pensare al caos che si scatenerà nel mio reparto appena si accorgeranno di nuovo della mia assenza, e fortunatamente riesco subito nell'intento. Ho sempre trovato il cielo notturno troppo suggestivo per sprecarne la visione con altri pensieri per la testa.

Purtroppo, però, ben presto mi vedo costretto ad interrompe quella specie di rituale calmante -com'è effettivamente divenuto per me-, accorgendomi di un ragazzo affacciato ad una finestra del sesto piano che sembra cercare di attirare la mia attenzione.

Aggancio il suo sguardo, aspettando che mi faccia capire cosa voglia, ma ha un tono troppo basso perché riesca a sentirlo a quella distanza. Cerco di farglielo capire con diversi gesti, e lo vedo provare ad alzare la voce sempre di più, finché un attacco di tosse non lo costringe a ritirare la testa dentro la sua finestra.

Guardo meglio la posizione della sua finestra e realizzo che si trovi nello stesso reparto dove lavora mio padre, capendo bene il motivo del tono basso e della tosse improvvisa.

Non lo vedo affacciarsi di nuovo e capisco che debba essersi rassegnato all'idea di non riuscire ad urlare abbastanza forte da farsi sentire, così torno alla mia contemplazione degli astri, o almeno di quei pochi che le luci notturne della città permettono di vedere.

Non passa, però, così tanto tempo prima che senta la porta principale dell'ospedale aprirsi e dei passi iniziare a dirigersi verso di me. Do per scontato che che si tratti di Petra e mi preparo a sentire la sua solita ramanzina, ma, invece, quei passi sembrano fermarsi a due metri da me.

Scendo dal bordo della fontana per capire di chi diamine si tratti e vedo un ragazzo che mi fissa stizzito, senza che io ne capisca il motivo. Si abbassa la mascherina chirurgica e noto dei tubicini nel naso che gli passano dietro le orecchie per riunirsi poi sotto il suo mento e che lo collegano ad una di quelle bombole di ossigeno portatile che ho spesso visto a molti dei pazienti di mio padre.

Il suo sguardo serio, unito a quelle sue occhiaie profonde e marcate, mi mette alqunato in soggezione, ma questo suo portamento viene tradito dal modo in cui si avvolge in una giacca decisamente troppo grande per lui.

〖𝐁𝐫𝐞𝐚𝐭𝐡〗 「𝓔𝓻𝓮𝓻𝓲 」Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora