III. Archetipo

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Per i semidei sognare era un'attiva abituale, purtroppo di solito alquanto terribile.
Potevi vedere scorci di passato e a volte perfino di futuro, oppure cosa stava succedendo da un'altra parte in quel momento.
I sogni dei semidei il più delle volte parevano quasi senza senso o almeno non prima che gli eventi si fossero conclusi.
Ma Percy era fin troppo abituato, perciò non si soprese più di tanto quando il suo sogno iniziò.
Si trovava ai piedi dell'Empire State Building e doveva essere l'alba, perchè la città era deserta.
Il sole stava timidamente spuntando all'orizzonte, illuminando il profilo del grattacielo.
I rumori della città continuavano, in maniera più lieve rispetto a ciò che sapeva sarebbe successo di lì a poche ore.
Quando New York si svegliava, era come se tutto il mondo facesse altrettanto.
Eppure il sogno di Percy non era interessato al paesaggio, perchè sembrò zoommare sulla strada.
Il figlio di Poseidone vide che c'erano due ragazzi in armatura greca seduti sul marciapiede, con le braci di un fuoco ormai spento tra di loro.
Uno aveva ancora su l'elmo, perciò per Percy fu impossibile vederlo in viso.
"Mia madre ci ha guidati fino a qui" disse lui "ma non capisco dove siamo"
"Se ci ha portato qui ci sarà di sicuro un motivo" osservò l'altro.
Aveva i capelli ricci e castani, che gli si erano un po' appiattiti da un lato del viso – probabilmente perchè ci aveva dormito su.
"È pur sempre una dea" continuò, guardando il primo.
Percy si rese conto di percepire una specie di aura attorno al guerriero con l'elmo.
Era strano, eppure gli sembrava di essere in qualche modo connesso con lui.
"A volte anche gli dei sbagliano" commentò questo "eppure non capisco. Mi sembra di essere nel punto giusto, sulla pista giusta per trovarlo ma non so dove andare"
Il ragazzo dai capelli ricci osservò attentamente l'altro, con gli occhi castani concentrati.
"Dovresti domrire" gli disse "sei stato sveglio tutta la notte"
Il guerriero sbuffò.
"Sto bene" disse.
L'amico si alzò in piedi e guardò dall'alto il compagno.
"Ora andrò a cercare qualcosa da mangiare e tu riposerai, capito?" ordinò "E non accetto un no come risposta"
Il guerriero fece per protestare, ma alla fine scrollò le spalle.
"Sta' attento" fisse infine.
Percy aveva il talento di capire le persone e notò, dal tono che il guerriero aveva usato, che teneva molto al ragazzo dai capelli ricci.
Percy fu svegliato dal grido di una ragazza.
Si alzò a sedere di scatto e sentì la voce di Drew Tanaka urlare qualcosa a Connor Stoll riguardo una borsa firmata che non trovava più.
Il figlio di Poseidone sorrise, perchè c'era così tanta familiarità in una scena così semplice da fargli avere un tuffo al cuore.
Guardò la sveglia che aveva appoggiato sul comodino – un regalo di Annabeth che sosteneva sarebbe arrivato in ritardo alla colazione altrimenti – e vide che era ancora relativamente presto.
Il pensiero di Annabeth gli fece tornare in mente la notte prima, quando l'aveva portata nella sua capanna per tranquillizzarla.
Non la biasimava per le sue grida: lui stesso faceva incubi fin troppo vividi sul Tartaro.
Molte volte sua madre era accorsa nella sua camera quano si svegliava di notte urlando il nome di Annabeth, di Bob o di Damaseno.
Sally si limitava a stringerlo forte, come quando era piccolo, e a dirgli che sarebbe andato tutto bene.
Percy si voltò e vide che era solo nel letto.
Pensò che Annabeth dovesse essersi svegliata prima di lui, come sempre, e che avesse deciso di tornare nella sua capanna.
Sfiorò con la mano il punto in cui si era trovata quella notte ed ebbe uno strano presentimento.
Scosse la testa e andò a preparasi per la giornata.
"Annabeth come sta?" chiese una voce, quando uscì dalla casa tre.
Percy si girò e vide che Malcolm Pace gli stava andando incontro.
Scorse dietro di lui gli altri figli di Atena in fila indiana che ora erano fermi, in attesa che il fratello tornasse e li guidasse fino al padiglione della mensa.
"Non è con te?" fece Percy.
Malcolm aggrottò la fronte, mentre un'ombra passava sul suo viso.
"Stavo per farti la stessa domanda" ammise.
Era strano: Annabeth non sarebbe mai venuta meno al suo dovere come capocasa di Atena.
Perciò ora dov'era?
"Quando mi sono svegliato non c'era più" continuò il figlio di Poseidone "così ho pensato fosse tornata alla casa sei"
Malcolm scosse la testa.
"Non la vedo da ieri notte"
Un terribile pensiero passò come un fulmine nella mente di Percy, che lo scacciò subito.
Sarebbe stato uno scherzo crudele, perfino per le Parche.
"Percy" Malcolm disse ad alta voce la domanda che l'altro si era posto "dov'è Paride?"
Percy non si era nemmeno reso conto di aver iniziato a correre verso la Casa Grande, eppure dopo qualche istante si ritrovò a spalancare la porta d'ingresso chiamando Chirone.
Sapeva che avrebbe rischiato di svegliare il signor D – che ovviamente era un gran dormiglione – e di venire quindi trasformato in un delfino, ma non gli importava.
Era di Annabeth che si trattava.
"Chirone!" gridò, fermandosi solo quando si imbattè nel centauro.
"Che succede, figliolo?" domandò il maestro d'eroi "Non dovresti essere a fare colazione?"
"Dov'è Paride?"
Gi occhi scuri di Chirone divennero ancora più scuri, come se ciò che aveva sempre sospettato si fosse appena avverato.
E non gli piacesse per niente.
"Nella stanza degli ospiti che gli abbiamo dato ieri" disse "ma sarà meglio controllare"
Percy seguì il centauro fino ad una porta dipinta di azzurro chiaro.
Chirone, garbato come sempre, bussò.
Quando non ottenne risposta, il figlio di Poseidone aprì la porta senza tante cerimonie.
Sperava con tutto il cuore di trovare Paride che dormiva – possibilmente in una qualche posa imbarazzante e magari con della bava alla bocca – perchè avrebbe significato che andava tutto bene.
"Non c'è nessuno" disse e quasi non riconobbe la sua voce: era come senza tono.
Il letto era ancora intatto, come se nessuno vi avesse mai soggiornato.
Niente in quella stanza faceva presagire che qualcuno vi fosse entrato.
Chirone sbattè uno zoccolo a terra, muovendo la lunga coda bianca agitato.
Si voltò e guardò dall'alto il semidio.
"Annabeth...?" chiese.
Percy scosse la testa.
Si chiese di nuovo quante volte Chirone avesse aspettato eroi che non sarebbero tornati e se stavolta fosse diverso: Annabeth era come una figlia per lui.
Il figlio di Poseidone invece aveva voglia di urlare e distruggere qualsiasi cosa avese avuto a tiro.
Sembrava quasi che le Parche avessero preso gusto a tenerli separati.
Percy era dell'idea che le tre vecchiette sull'Olimpo avessero una lista di semidei a cui lanciare sventure, lista con solamente il suo nome scritto sopra.
Parevano quasi avere senso dell'umorismo: un anno prima Era aveva rapito Percy costringendo Annabeth a cercarlo per mesi.
Ora era il contrario: lei era sparita e Percy non aveva idea di dove fosse, se non che era stato Paride a rapirla.
Ma il figlio di Poseidone era sicuro di una cosa: in qualche modo nemmeno le Parche sarebbero riuscite a tenerli separati a lungo.
Tornavano sempre l'uno dall'altra, anche nei modi più impensabili.
Il Tartaro non li aveva divisi, non l'avrebbe fatto nemmeno un principe troiano.
Sapeva poche cose, ma sapeva che lui e Annabeth sarebbero rimasti insieme perché era questo il loro destino.
L'avrebbe ritrovata, a costo di radere l'Olimpo al suolo.
Pensò che Annabeth lo avrebbe ucciso se ci avesse anche solo provato, visto che era stata lei a disegnare i monumenti e i templi che costellavano la casa degli dei.
Quel pensiero gli strinse il cuore in una morsa d'acciaio.
Fece per dire a Chirone che sarebbe partito immediatamente, ma non ne ebbe il tempo.
Malcolm era dietro di loro e pareva sconvolto.
"C'è un altro problema" disse, con il fiatone "È arrivato qualcuno al campo e continua a gridare a gran voce il nome di una persona"
"Chi?" fece Chirone.
"Continua a ripetere il nome Patroclo"

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