V. Déjàvu

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Quando Annabeth aprì gli occhi, le ci volle qualche secondo per tornare a vedere nitidamente.
Sentiva la testa dolerle come se le avessero dato una botta – cosa che probabilmente era successa – e davanti a lei il vaso di lavanda che era posto accanto al muro continuava a sdoppiarsi.
Strinse gli occhi, cercando di schiarirsi la mente.
Quando non funzionò, si morse il labbro fino a farlo sanguinare.
Reagisci Annabeth, si disse, sei più forte di così.
Il dolore le schiarì la mente e quando aprì di nuovo gli occhi si rese conto che il mondo aveva smesso di girare.
Ricordava poco delle ore precedenti, come se avesse vissuto un sogno movimentato.
Ma i polsi legati da una corda spessa le suggerivano che tutto quello era successo davvero.
Fece un respiro profondo, mentre si guardava intorno.
Si trovava in una stretta stanza spoglia, con una piccola finestrella in alto che doveva dare su una stanza molto simile.
Il sole non era al massimo della sua lucentezza, quindi Annabeth suppose che il tramonto si stesse avvicinando.
C'era una bacinella di acqua poco distante da lei che le ricordò quanta sete avesse.
Lo sguardo le cadde su un fazzoletto posato accanto a lei e le venne come un flash.
Qualcuno che la svegliava sussurrando il suo nome, con voce dolce e peruasiva.
All'inizio aveva pensato si fosse trattato di Percy, che la svegliava per dirle di tornare nella sua capanna prima che qualcuno si accorgesse che avevano infranto le regole, ma aveva capito che non era di lui che si trattava quando qualcuno le aveva premuto una mano sulla bocca coprendo anche il naso.
Un odore nauseabondo le aveva invaso le narici immediatamente, facendole girare la testa.
Annabeth aveva tentato di divincolarsi, colpendo la misteriosa figura in qualche modo, ma presto le forze l'avevano abbandonata.
Era svenuta, lasciando ricadere la testa all'indietro.
Aveva sentito delle braccia avvolgerla, ma non con delicatezza; quasi più come se fosse stata di proprietà dell'assalitore.
Poi le tenebre l'avevano avvolta, trascinandola per le loro scure correnti.
Non aveva idea di dove si trovasse, ma sapeva chi l'aveva rapita: Paride.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio, pensò.
Era diventata Elena di Troia.
Avrebbe dovuto trovare il modo di fuggire da quel posto e tornare al campo, ma non aveva idea di come fare.
Se solo avesse avuto un dracma con sè, avrebbe potuto creare un messaggio-Iride per contattare Percy, ma purtroppo era ancora in pigiama.
Quando il volto del figlio di Poseidone le balenò nella mente, le venne un tuffo al cuore.
Le lacrime minacciarono di sgorgare fuori dai suoi occhi, pungendo, ma lei le ricacciò indietro.
Era forse uno scherzo?
"Mi prendete in giro?" esclamò alzando gli occhi verso il soffitto chiaro "Di nuovo? Vi diverte così tanto tenerci separati?"
"Ti sei svegliata"
Annabeth scattò in piedi in un solo istante: fu come se il suo corpo avesse reagito prima ancora della sua mente, grazie agli anni di addestramento.
"Paride?" chiamò, con voce dura.
"Non sono Paride, grazie agli dei" continuò la voce "vieni alla finestrella, sono nell'altra stanza"
La figlia di Atena si avvicinò circospetta.
Era abbastanza alta perchè riuscisse a vedere oltre, se solo si fosse alzata leggermente sulle punte.
Il ragazzo nell'altra stanza era più alto di lei di poco e riusciva a scorgere i suoi riccioli castani.
"Chi sei?" chiese "Anche tu sei prigioniero?"
"Per mia scelta, si potrebbe dire"
La voce di lui era gentile.
"Mi chiamo Patroclo"
Annabeth appoggiò le mani legate al muro, quasi per sostenersi.
Se adesso si scopre che il mio carceriere è Ettore non mi sorprendo, pensò, ma giuro che in futuro imprecherò usando il nome della sua città.
"Cosa ci fai tu qui?" domandò, stancamente.
Patroclo raccontò di come fosse uscito dagli Inferi insieme ad Achille – Annabeth era decisa a picchiare la testa contro il muro dopo aver sentito il nome del più potente guerriero greco che fosse mai esistito – e di come avessero seguito le tracce di Paride fino ad una città sempre illuminata – qui si chiese se l'Olimpo non fosse davvero una specie di faro che attirava qualsiasi cosa.
"Quando mi sono allontanato per cercare del cibo ho visto Paride che ti aveva tra le braccia, svenuta" concluse "non c'era tempo di svegliare Achille, così ho deciso di agire da solo. Ho provato a salvarti, sfidando Paride a duello. Nessuno può rifiutare ad un duello senza risultare un codardo. Ma lui non mi ha nemmeno risposto; dopo avermi guardato, improvvisamente qualcosa è spuntato dal terreno e mi ha avvolto i piedi. Mi ha tirato giù e sono svenuto. Quando ho ripreso conoscienza ero qui, in questa stanza minuscola, e ho sentito la voce di Paride che ti parlava mentre dormivi. Ti chiamava Elena"
"Quasi quasi spero proprio che pure lei salti fuori dagli Inferi e venga a riprendersi il suo amante" borbottò "Omero avrebbe dovuto starsene nell'agorà a vendere olive, altrochè"
"Chi?"
"Nessuno" Annabeth sospirò "dobbiamo trovare il modo di scappare da qui"
"Achille mi verrà a cercare, ne sono certo"
Lei non dubitava affatto che Percy sarebbe venuto in suo soccorso: era già capitato in passato.
E se Percy e Achille in qualche modo si fossero incontrati e ora stessero collaborando?
"Paride non ha detto nulla riguardo al posto in cui siamo?" chiese.
"Nulla" rispose Patroclo "ma a volte l'ho sentito parlare, però non con te. Sembrava parlasse con qualcuno nella sua testa"
Quando una voce cominciava a parlarti nella testa, non era mai una buona cosa.
Annabeth lo sapeva fin troppo bene.
Con un sospiro, posò di nuovo la fronte contro il muro e chiuse gli occhi.

Stay | PercabethDove le storie prendono vita. Scoprilo ora