Capitolo 14

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Non ho dormito. Alle 4 del mattino ho deciso di alzarmi e di fare un elenco dei motivi per cui non dovrei presentarmi in quella biblioteca.

Ho cercato di immaginare la scena, mi sono vista in piedi davanti allo scaffale di lettura inglese. Mi sono vista lì ad aspettare con in cuore in mano e ho avuto paura. E se non venisse? E se restassi lì come un'idiota ad aspettarlo? E se non lo riconoscessi? Sono passati quasi 15 anni dall'ultima volta che ci siamo visti, da quando il mio cuore è andato in mille pezzi quando lui ha scelto di andarsene, lasciandomi sola. Mi sono chiesta tante volte se lo avrei riconosciuto incontrandolo per strada per caso. Se chiudo gli occhi a volte mi sembra di ricordare solo il suono della sua voce, come se il suo viso fosse diventato un ricordo sfuocato. Magari adesso ha i capelli bianchi. Magari li ha persi tutti. Magari nemmeno lui saprebbe riconoscermi in una folla di volti che si incrociano per caso. Quello che so però è che basterebbe che le nostre mani si sfiorassero per sentirci di nuovo a casa. Perché è quello che eravamo uno per l'altra, fino a che le mura non sono diventate troppo strette per stare dentro insieme.

Sono diventata grande senza di lui. Mi sono laureata, sono diventata un architetto. Ho viaggiato. Ho riso. Ho pianto di nuovo. Ho visto albe e tramonti da togliere il fiato. Ho chiuso gli occhi a Bali e li ho riaperti a Las Vegas come se fossi sulle montagne russe. Ho vissuto, sempre. Senza di lui. Poi un giorno ho incontrato Dodo e il mio cuore ha creduto di poter amare di nuovo. Ma questa mattina mi sento di nuovo fragile e spaventata.

Dopo il secondo caffè Cesare reclama la sua passeggiata mattutina. Le strade sono ancora deserte, sabato mattina Milano si prende il tempo di sgranchirsi prima di iniziare a correre. Mi fermo in panetteria per comprare un pezzo di focaccia appena sfornata. Il fornaio mi sorride gentile mentre mi regala del pane per il mio cane. Chissà, forse la giornata non sarà quel disastro totale che immagino.

Prendo un tram al volo. Indosso le mie scarpe preferite, bianche con un cuoricino rosa sul fianco. Per il resto sembro vestita come una studentessa universitaria al primo anno: jeans strappati, maglietta bianca e zaino in spalla. Forse voglio credere di sembrare ancora la ragazza che ero e che sono ancora. Spensierata. Felice. Boh

Quando arriva la mia fermata, esito sui gradini. Sto davvero per farlo? Sto davvero andando a farmi spezzare il cuore di nuovo? Mi dico che no, sono diventata grande. Le lacrime per amore le ho già chiuse nel cassetto tanto tempo fa.

La biblioteca di Porta Venezia a quest'ora di sabato mattina è ancora deserta. Il bibliotecario all'ingresso solleva giusto un sopracciglio dal suo quotidiano accorgendosi della mia presenza. Chissà forse davvero sembro una studentessa. Scivolo silenziosa tra gli scaffali accarezzando i libri sperando di essere inghiottita da una di quelle pagine.

Il corridoio della letteratura è vuoto. Arrivo davanti ai libri di Jane Austen. M. non c'è. Sono quasi sicura che abbia cambiato idea. Quella che era sempre in ritardo sono io. Prendo in mano in copia di Orgoglio e pregiudizio e mi siedo per terra, poggiando la schiena contro i libri, come se fossero amici pronti a darmi conforto, e inizio a leggere, dimenticando tutto e tutti.

E così non sento i suoi passi, non sento il tintinnio delle cinghie del suo zaino da fotografo.

"Iris". Milo è davanti a me che sorride mentre mi tende la mano. Sta succedendo davvero e a me si ferma il cuore per un istante.

I battiti persi del cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora