Capitolo V- Sindrome del Messia.

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Impugno la mia pistola, e lentamente mi dirigo verso la struttura.
Ma nel momento in cui sto per entrare sento delle ruote sgommare dietro di me. Mi volto, e vedo che la mia macchina sta facendo retromarcia ad una velocità pazzesca. Lucifer se ne sta andando.
Mentalmente lo maledico, in quanto non ci sarà nessuno in caso io abbia bisogno di una deposizione da parte di un testimone, ma dall'altra la sua mossa si potrebbe definire più sveglia di quanto sembri.
Mentre io arresto il colpevole, lui si riprende il suo container, affinché non venga dato il tempo a nessun testimone di essere avvertito e di conseguenza affinché nessuno porti lontano il contenuto del container rubato.
Anche se mi chiedo quanto diavolo debbano valere queste Matrioske, visto che a quanto pane vale la pena uccidere per averle. O più probabilmente, chi lo ha rubato si aspettava un contenuto molto più proficuo, dato il propietario, ed invece ha ottenuto delle bambole. Ben gli sta.
Una volta entrata, arrestare il colpevole mi risulta abbastanza semplice, in quanto oppone davvero poca resistenza.
Ciò mi fa sorgere un dubbio: E se fosse solamente un complice? Se lavorasse per qualcuno più potente di lui?
Nel mentre che la mia mente formula questo pensiero mi telefona la centrale, avvertendomi che il container è stato ritrovato, intatto.
C'è bisogno quindi della mia presenza e di quella di Lucifer per confermarne il contenuto.
Soprattutto, non vedo l'ora di confermare la veridicità delle sue parole.

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Tornata in centrale, noto subito il container di Lucifer, che giace praticamente in mezzo alla strada.
Guardando dietro di esso, vedo delle Louboutin. È lui.

"Ciao, Lucifer. Sembrate essere entrambi sani e salvi" dico con tono ironico, guardando prima lui, poi il suo enorme contenitore. Persino un uomo della sua altezza sembra piccolo accanto a quell'affare.

"Spiritosa. Sì, sembra di sì. Immagino tu debba entrare con me" dice, sorridendo.

"Oh, puoi scommetterci!" esclamo, prendendo nel frattempo in mano le enormi cesoie necessarie per tagliare via la serratura.

"Beh, allora dopo di te, Detective". dice, allargando un braccio in segno d'invito.
Nonostante in questo caso sia stato fatto ironicamente, probabilmente non mi abituerò mai a questi gesti di galanteria.
Rimango sempre confusa quando si offre di aprirmi la portiera della macchina, o di tenermi la porta. Alle volte sa essere davvero cortese e gentile, forse anche troppo, penso.
Entro nel container e noto che non c'è assolutamente nulla al suo interno, tranne per un grande baule in legno piazzato al centro del pavimento.
Le pareti sono luminose e color argento, ed il baule si vede che viene pulito spesso.
Mi chino per osservarlo meglio, ed accanto a me sento il respiro di Lucifer, chinato a sua volta. È un respiro tranquillo, ed il suo viso sembra sereno. Probabilmente felice di averlo ritrovato. Se nascondesse qualcosa non lo sarebbe, ma bisogna sempre ricordare che parliamo di Lucifer Morningstar, lo stesso uomo che ammetterebbe di aver assunto droghe anche davanti un' intera stazione di polizia, quindi nulla di cui stupirsi.
Mi rivolge un sorriso di circostanza quando mi invita ad aprirlo.
Usando le stesse cesoie di prima, taglio anche questa serratura, e la prima cosa che vedo è...paglia. Paglia sintetica.
Incomincio a scavare velocemente con le mani, quando le vedo. Le bambole russe.
Sono tre, ne prendo una in mano e comincio ad aprirla, copiando lo stesso processo anche con le altre due. Nulla.
Continuo allora a scavare nella paglia, ma niente di niente.
Sono davvero solo delle bambole. Tutto questo casino per delle maledette matrioske.
Quando racconterò la carriera da Detective ai miei nipoti, questa sarà una delle storie più gettonate, poco ma sicuro.
Sul mio volto si dipinge un' espressione sbigottita, e come se potesse leggermi nel pensiero sento Lucifer dire: "Stupita, Detective?"
Ed ovviamente, indossa uno dei suoi migliori sorrisi arroganti, come nel dire: "te l'avevo detto".
Un' espressione che mi fa venir voglia di tirargli uno schiaffo, per fargli sentire di nuovo quella sensazione che diceva di aver provato in ascensore.
Ma non lo faccio, infatti sorrido di rimando, guardandolo negli occhi.
Piegandomi ripongo delicatamente le bambole all'interno del loro baule, e nonostante io senta il suo sguardo sul mio corpo, decido di passare oltre.

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