V- Trizio

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Nella fumosa stanzetta violacea ,dall'aggressivo e soffocante color melanzana delle pareti, dal balcone minuscolo a ben 5 metri da terra dove sua madre aveva insistito per mettere ad asciugare la preziosa coperta di raso di babushka Iris, nonostante il cielo fosse così nuvoloso, dal torpido silenzio in quanto insozzato dal fumo ,puzzo quasi insopportabile di carne arrostita che i Dilaplov cucinavano paradossalmente ogni sera al piano di sotto, da quell'angolino remoto di Mosca, quasi in aperta campagna, Vera Malakenskij sognava ad occhi aperti distesa sul piumone spruzzato di rose e violette, violette e rose, della sua misera stanzetta. Ed effettivamente chiunque, vedendo la ragazza nella piccola stanzetta viola, lì, buttata sul lettino a una piazza, incassato sotto il pericoloso armadio a muro bianco, che fissava e fissava il soffitto più chiaro, che a sua volta fissava lei sola, circondata dai numerosi libri di testo infilati alla buona tra gli scaffali sopra l'imponente scrivania, nota stonata in quel misero spazio, e alternati ad inquietanti e carini pupazzi di quand'era piccola, avrebbe visto e asserito che si trattasse della medesima adolescente innamorata. Primo errore. Vera non era più un'adolescente, o per lo meno da un punto di vista anagrafico, aveva infatti 19 anni. Una donna. Secondo errore. Non era affatto innamorata. In realtà non sapeva neppure cosa fosse. Non lo sapeva nonostante avesse avuto un ragazzo. Terzo errore, forse il più grave, nessun sogno etereo percorreva i pensieri di Vera a dispetto di quanto detto poco fa. Quanto vi fosse di reale o illusorio nella sua vita non poteva saperlo. Sapeva molte cose , non sapeva nulla. Prima della sua classe era stata promossa col massimo a compimento del liceo. Congratulazioni! Oh Vera Auguri! Che brava studentessa! E le voci atone , stracolme di falso entusiasmo si propagavano dal soffitto, chi invidiava quel voto, chi tentava disperatamente di apparire totalmente indifferente ad un numero d'inchiostro inciso su carta, chi era felice davvero, o davvero felice dell'idea di conoscere lei, Vera, studentessa eccezionale, e poi c'erano i parenti, troppi, moltiplicatisi perché lei era l'orgoglio della famiglia . Le voci la fermavano per strada con i loro sorrisetti e l'abbracciavano, pacca sulla spalla. Me l'immaginavo! L'ho sempre saputo! Dicevano. Vera si divertiva a pensare alla possibilità che non fosse mai accaduto e alle loro facce sconsolate o scioccate. No... indifferenti e consuete, oppure deluse. Una soddisfazione! Annunciò sua madre per ben 3 settimane. Ed era vero, quell'assoluta gioia di aver raggiunto l'obiettivo, di essere la migliore l'aveva provata, per quella giornata? Si presuppone. In realtà Vera non poteva quantificarlo. Forse per un' ora, un secondo, meno?.Non lo sapeva. La gioia non c'era più perché oramai tutto era finito, passato. Lei non era più una studentessa di liceo, non era più la migliore, era una delle tante smarrite diciannovenni pronte a partire per chissà dove per cominciare tutto da capo. Le fatiche, il sudore ,ore e ore trascorse sui libri, e adesso,fra poco, tutto, dall'inizio. Avrebbe dovuto dimostrare nuovamente di essere brava e non una ragazzina dai lunghi capelli biondi di Mosca, una fra le tante. Insomma doveva mantenere gli standard no? Proseguire in linea retta, costanza, sempre costanza in tutto, da quando era una bambina dai lunghi capelli biondi. E questa era la parte meno spaventosa in effetti. La parte che infondeva nuova linfa e adrenalina, spirito combattivo. Poi c'era la nostalgia, mansueta a volte, innocua, disarmante e angosciosa altre volte. L'attesa, l'estate, luglio, le sembrava un limbo, non era più nulla in effetti, non poteva dirsi un'universitaria e nemmeno una liceale.Tutto quello che era stata , dissoltosi, un secondo dopo l'esame, possibile? Le mancava, le mancava ora dopo settimane, le era mancata la sua vita già un secondo dopo l'esame. Sempre in agguato quella maledetta malinconia, quel giorno stava mettendo a posto degli shampi nel bagno e l'Ivy Rocher alla camomilla le ricordò Katia e la pessima figura che rimediò con l'insegnante di tedesco, stava tentando di venderle i suoi prodotti quando scoprì che la professoressa Frummer odiava i francesi e allora Katia, che risate, <<Ma siamo in Russia!>>, oppure alcune sere prima mentre guardava il telegiornale e riferivano dell'attentato a Nizza, ricordò Mahalì , terzo anno, appena arrivato in Russia, permesso d'asilo, aveva 16 anni, ragazzo gentile e davvero intelligente. Era stato Mahalì a salvare lei , la professoressa Dubalov e Ivan a Stalingrado, già, durante un'uscita scolastica:

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