Cronografo - VI

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Emily Monroe lavorava al Reverview Hospital a Coquitlam, da dieci anni. Dieci lunghi anni di sofferenza e sudore. Dieci anni da infermiera non erano moltissimi ma effettivamente nemmeno pochi. Per lo meno Emily era la veterana, in compagnia della signora Florence, doppiamente veterana, 20 anni nel moderno e soffocante istituto. Vi erano veterani nel contempo che di certo superavano entrambe, Emily lo ricordava ogni singola giornata trascorsa nel tugurio. John Mcfallisher aveva 80 anni e aveva trascorso 70 di questi lì dentro. La dolce Maggie Calligam vi aveva trovato posto da 3 anni, ma, povera ragazza, viveva in quelle condizioni da quando era nata, per non parlare dei signori Gornier, francesi, una coppia di sorridenti turisti venuti in Canada 28 anni or'sono, brutto incidente, lesioni al cervello, ed ora qui, felici e contenti nella loro demenza. Li conosceva tutti, quei volti scorrevano su di un nastro infinito tutti i giorni, tutti i giorni li osservava e li assisteva, imparava a conoscerli meglio. Spesso avvertiva la spossatezza, spesso desiderava solo abbandonare le centinaia di volti che la supplicavano e la adocchiavano quotidianamente. Perché restava? Continuava a restare, aveva 50 anni ormai, dove sarebbe potuta andare? Le offerte lavorative come funghi costellavano il selciato dei suoi ricordi, le avevano promesso un avanzamento di carriera, aveva solo 30 anni allora, poca esperienza ma con le sue capacità avrebbe potuto virare a New Orleans, a Biloxi, a Vancouver, ma era rimasta lì, restava lì. Loro, i pazienti avevano bisogno di lei. Loro erano esseri umani dopotutto. Florence solo raramente se lo rammentava, il direttore non voleva ammetterlo, << sacchi di carne>> ripeteva, che ribrezzo. Loro, i pazienti avevano quel briciolo di umanità che mancava a tutti gli altri, i sani, che mancava a volte alla stessa Emily. La vita all'interno dell'istituto sembrava evanescente, irreale, spesso Emily sentiva di essere solo un fantasma tra altri fantasmi, spesso Emily perdeva la cognizione delle sue giornate, del tempo trascorso.<< E' quello che accade trattando con i mat...>> ed Emily frenava sempre la subdola linguaccia del direttore Frank Miller, una sagoma d'uomo, nessuno spessore psichico o intellettuale. Non bisognava definirli così, mai. Così quella sera Emily era di turno, e nonostante avesse una certa età scattava da un corridoio all'altro , da un settore all'altro, da un piano all'altro, in un attimo. La RONDA serale la chiamava Hugh, il corpulento e bonaccione infermiere del Quebec. Erano quasi le 22:30, alle 23 bisognava che tutti i pazienti spegnessero le luci. Con Hugh aveva parlato a lungo circa la possibilità di andare via dal Reverview. Suo marito era morto l'anno scorso, era stato un militare, aveva una pensione che avrebbe sopperito a qualsiasi spesa e poi anche lei aveva racimolato un gruzzolo di considerevoli dimensioni. Hugh non vedeva l'ora di lasciare quel posto e ritornare in Quebec da sua moglie, <<Fallo!>> le diceva, <<torna da tua figlia a New york>>. Ma lei non poteva, non poteva abbandonarli. Hugh era stranamente silenzioso, aveva i doppi turni lui, era stato lì tutto il giorno. Mentre percorrevano l'ala 11 l'odore pungente della morfina spinse Hugh a mugolare in merito alla qualità dei "prodotti" ,così li definiva, acquistati dal direttore. Era la stanza di Maggie Calligam, Emily lo sapeva benissimo. Ala 11, vi aveva trascorso un anno incessantemente interessandosi particolarmente alla ragazza, aiutarla a smettere, smettere di ridursi così.

"Ha solo 18 anni" dichiarò col fiato sospeso mentre si avvicinavano lentamente alla sua stanza, Hugh fece spallucce, prese la cartella nel box, scribacchiò il solito dosaggio, la penna premeva strascicando sul foglio. Fatto. Hugh non salutava mai i pazienti. Non era crudele o misogino o semplicemente indifferente. Solo. Sin troppo professionale. Rimproverava affettuosamente Emily, per nulla intimorito dal fatto che potesse prendersela con una donna dell'età sua madre, Emily si lasciava coinvolgere troppo, e questo lo aveva stupito sin dal primo giorno. Emily era il suo tutor. Era in perfetta forma, i capelli perfettamente neri, i vestiti perfettamente tirati, lei perfettamente educata e gentile, un po' fredda con i colleghi, schietta e coerente. In effetti si, le aveva sempre ricordato sua madre. In primis i pazienti, le cure, le medicine che andavano somministrate, le terapie, la pulizia, poi si poteva andare in pausa pranzo o riposare nella sala comune. Aveva esperienza lei, era capo-infermiera , e forse era stato stupido credere quando non la conosceva bene che trattasse i pazienti con estrema freddezza e senza far trasparire alcuna emozione, ma c'era d'aspettarselo o no?

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