VII- Manchette

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Le strade coperte da uno strato di fitta nebbia biancastra emanavano odore di pianto, umido e bagnato il pomello d'oro del bastone sfocava l'immagine del volto rugoso del signor Mancini. Dritto dinanzi a lui il bastone ostentava la sua nobile leggiadria. Non osava sfiorare la copertura gocciolante. Il suo volto invisibile era più aggraziato. Quei tratti marcati e decisi, i solchi che conferivano alla fronte un aspetto da intellettuale, le soffici borse appena accennate, indice dello stare in piedi a quell'ora, scomparirono nel pomello. Un fruscio di vento secco ruggì prepotente nelle orecchie, aveva dimenticato il cappello, come tutte le sere. Tenne in equilibrio il bastone tra le gambe mentre verificava che gli odiosi pezzetti di vernice non si fossero attaccati al cotone dei pantaloni neri che indossava. Che orrore! Le panchine di Villa Borghese ridotte in quello stato. I soldi scivolavano nelle tasche degli "uomini di lusso" e la povera gente doveva sedere su panchine verniciate a metà o cadenti. Peccato che Verga si sia fermato alla duchessa, quante ne avrebbe da dire al giorno d'oggi! Il bastone cadde di sasso, poca forza nelle gambe a quell'età. Il volto di Mancini, sconcertato, adagiò lontano da lui il bastone pomellato, quasi fosse un nemico. Mi ricordi sempre chi sono, pensò amareggiato. La luce giallognola del lampione illuminava anche la panchina di fronte alla sua. L'erba inumidita era floscia, appesantita dalle goccioline d'acqua. Un ragazzino calciò la palla sino al suo bastone che in equilibrio ancor più precario ricadde più rumorosamente di prima, era pesante, non era poi così d'aiuto.

"Scusi signore..." l'ometto afferrò la palla con le manine sudaticce e sorrise a 32 denti, cenno d'assenso col capo, bambino va via. Non li capiva i bambini, eppure anche lui lo era stato. Non aveva nipotini della stessa età. In realtà non aveva neppure figli. La mezza luna faceva capolino da un cipresso spiovente poco lontano a est, più in là poteva udire lo sciabordio delle anatra nel laghetto. Il parco più accogliente di Roma. Nonostante fosse terzo solo per grandezza, Mancini l'aveva sempre amato. E veniva qui tutte le sere. E puntualmente si scordava il cappello. Veniva qui per soffocare il tedio delle giornate estive,lì, sulla panchina tutte le sere. E di certo non chiedeva di meglio, era felice, estasiato di andare a Villa Borghese. Lorenzo e Mattia lo aspettavano al bar di pomeriggio ma di sera era lì che doveva stare. Sono vecchio ma posso ancora godere della vita, pensava, posso ancora osservare la vita degli altri. E stava lì assorto nei suoi pensieri in attesa che qualcuno adocchiasse la panchina di fronte alla sua, dall'altro lato della strada. E poi avrebbe scoperto una nuova vita, una persona, avrebbe conosciuto un'altra storia. Immaginato e forse compreso la verità. Da giovane aveva provato a fare lo scrittore, ma le storie sapeva a stento immaginarle e non scriverle. Da vecchio era un ottimo inventore e se solo non avesse avuto bisogno degli occhiali e se solo sapesse usare il computer e se solo ne avesse la voglia o il tempo, sicuramente sarebbe diventato bravo a scrivere. Ecco il primo personaggio della serata. Felpa sgualcita marrone, leggins nero carbone, soffocanti, un pancione che tentava di far esplodere la felpa. L'esile figura, tutta pancione, che si era seduta, riprendeva rumorosamente fiato. Così delicata, quasi un ramo di frassino pronto a spezzarsi, solo il pancione. Mancini si chiese come sopportasse tutto quel peso. I capelli neri e lucidi erano raccolti in una crocchia sulla nuca, non sembrava molto giovane, fece scrocchiare le dieci dita una ad una e appoggiò stanca le spalle al fresco legno della panchina. Un occhiata fugace verso di lui. Probabilmente il marito era lì in giro da qualche parte, o forse no. Una voce sommessa ma decisa esclamò un <<< Vieni qui peste!>> dal laghetto increspato un paffuto bimbetto di 5 anni senza incisivi portò alla mamma una ranocchia tenendola per la zampa allungata. La donna\mamma e futura madre sospirò accarezzandogli il paffuto visino cercando di non fissare il verde-marcio della rana, reprimendo un conato. Il bambino la scagliò lontano. Donna sola con due bambini. Forse vedova. Ah no, basta con le tragedie. Ma una donna sola con figli è già una tragedia. Queste cose non succederebbero se i giovani stessero più attenti. Non l'aveva mai vista, eppure lui era un habitué di quel parco, sovente rintracciava i personaggi di storie che aveva già plasmato e allora perdeva ogni interesse, ma più spesso tra i milioni di abitanti e turisti c'era sempre qualcosa di nuovo. Il bambino paffuto continuava a giocare con l'acqua, la rana l'aveva già rimossa , pertanto solo i sassi nel fango caldo dovevano essere oggetto de suo interesse, li scagliava eccitato nello specchio trasparente che sembrava frantumarsi ad ogni lancio. Non era certo quello il modo giusto di farli rimbalzare. Lui li faceva sempre rimbalzare da piccolo, con Francois e Rugon a Ginevra, l'Italia però, non c'era paragone per lui. Nessuno aveva insegnato a quel bimbo paffuto a far rimbalzare i sassi sull'acqua. Non aveva un padre forse. Immaginò di presentarsi alla donna col pancione e offrirsi come miglior maestrolanciatore di sassi e rendere il bambino non più solo eccitato ma davvero felice. Ma il ragazzino sembrava non avere altri desideri che frantumare lo specchio della natura. I bambini proprio non li capiva, e poi no non capiva quello sguardo. La donna lo scrutava con tale intensità, come se non avesse altro tesoro più prezioso al mondo, e intanto colpiva curiosa la bocca dello stomaco con la mano, piccoli colpetti e dopo un po' sollievo. Stesso sguardo al pancione. Se amava così tanto quei figli allora il marito deve essere davvero morto, o forse lontano in viaggio per lavoro, o malattia. Oppure e amava quei figli perché non avevano colpa se il loro genitore li aveva abbandonati come spazzatura. Meritavano almeno la mamma. La donna non aveva una borsa con sé, abitava lì vicino, si figurò Mancini, ecco quel palazzo rosso è l'ideale, condominio per la madre single, quell'espressione gravosa che ad un tratto gli fece corrugare la fronte forse nasceva al pensiero dell'ascensore, poteva essere rotto, e abitando al quinto piano, fare le scale, in quelle condizioni. Oh ecco che controlla l'ora sullo smartphone. L'ora, le scale, chiamare il frenetico paffuto bimbo che nulla sa ancora della vita. Portarli nel palazzo rosso. << Andiamo a casa!>> era bravo con le intuizioni. Una corda ben salda alla vita del piccolo lo condusse quasi immediatamente al fianco di sua madre, terriccio sui vestiti, e le manine, marroni come la felpa della mamma. Cercò di guardare negli occhi la donna, occhi grigio spenti, ricambiò accennando un sorriso.

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