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«Via. Lasciami solo. Lasciami solo a gridare. Voglio gridare finché tutto il mio corpo non diventa grigio e freddo, finché non sarò altro che un involucro per qualcosa di più grande. Asfissia»
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Quando Kokichi si svegliò alla fine di quel pomeriggio, si rese conto della situazione. Era in camera di un ragazzo che altri non era del fissato con la disperazione e con il privare di vita il prossimo. Ma non solamente era steso sul suo letto, ma sulle sue gambe, mentre lui continuava a fissare lo schermo attento, molto probabilmente non si era ancora accorto che il più piccolo era ormai desto. Kokichi ne approfittò per buttare uno sguardo al programma; vari ragazzi si puntavano il dito contro in quella che sembrava un'aula di un tribunale; cercavamo di risolvere l'omicidio della giovane che era stata uccisa poco prima. Il giudice era un orso bianco e nero, il ragazzino aveva già sentito il suo nome in televisione, se non errava, era denominato Monokuma. Rimase fissare lo schermo mentre il più grande continuava a passargli una mano nei capelli, lentamente, come ipnotizzato. Quando, arrivati alla fine del processo, l'orso battè il martelletto su un grosso pulsante rosso, Kokichi sobbalzò, come a svegliarsi una seconda volta. Lì Shuichi finalmente notò i suoi occhi violacei e vispi aperti e, sorridendogli gentilmente col suo solito ghigno, mise in pausa il dvd.
«Ti sei addormentato, ma almeno ora ci sei per vedere la parte più bella.»
Gli disse tranquillamente, indicando subito dopo la televisione con lo sguardo.
«Perché...mi stavi..accarezzando?»
Disse invece Kokichi, guardandolo dal basso. Shuichi fece spallucce, tranquillo.
«Quando sono concentrato tendo a muovere le mani, in un modo in nell'altro; una penna, un peluche...»
Shuichi lo guardò di nuovo, poi continuò.
«Vuoi vedere la fine?»
Ouma si sentiva un po' più sicuro in quel momento, non capiva perché, si sentiva a suo agio e basta. Annuì distratto.
Non l'avesse mai fatto.
L'esecuzione ebbe inizio; talmente orribile e cruenta che il solo ricordarsela lo farebbe impallidire. Kokichi sentì il cuore battere sempre più forte, rumorosamente, poteva contare i battiti veloci e aritmici; si mise a sedere in preda al panico stringendo con le mani la camicia bianca di Shuichi mentre gli si arrampicava addosso, strisciando, disperato. Dal terrore si lasciò scappare un grido mentre nascondeva il volto contro il suo petto, tremando come una foglia. Non dimenticherà mai quelle immagini, lui, mai e poi mai. Il ragazzo dai capelli blu rimase alquanto sorpreso dalla reazione del più piccolo, tanto che gli passò gentilente una mano dietro la schiena, cercando di fargli capire che era tutto ok, che era solo la giustizia che faceva il suo corso, l'ordine naturale delle cose.
Kokichi, che stava iniziando ad apprezzare quel contatto e a rassicurarsi, venne pervaso dall'idea che lui sarebbe divenuto la prima vittima di Saihara, ora più di prima. Voleva staccarsi, gridare, scappare da quella casa, ma non ne aveva né forza né coraggio. Sì abbandonò definitivamente tra le braccia del più grande.
Dopo quel pomeriggio, Ouma non riusciva più a togliersi dalla testa quella sensazione della mano del più alto che lo accarezzava gentilmente. Sì trovo a guardarlo spesso, durante le lezioni, dal suo piccolo banco in fondo alla classe; vedeva come scribacchiava con una matita su tutto il libro distratto mentre rivolgeva lo sguardo al prof; come, mentre voltava le pagine, i suoi libri fossero pieni di scarabocchi fatti con matite, penne, pennarelli e addirittura acquerelli. Una volta, durante la pausa, si avvicinò al suo banco e potè addirittura notare che nel suo libro c'erano dei disegni di quella che sembrava un personaggio di Danganronpa che, in una nuvoletta di testo, ricordava a Saihara quale fossero i compiti per la giornata. Trovò buffa la cosa e se ne tornò al suo banco per non destare sospetti.
Quando quello stesso giorno, tuttavia, iniziò il comune rituale di prepararsi lo zaino ed uscire il più velocemente possibile, ritrovò una lettera indirizzata a lui sotto il banco. Era una comune lettera bianca, scritta con calligrafia molto chiara ed effemminata. Mi correggo, non era una lettera, ma un invito, un invito al compleanno di Rantaro Amami, scritto a mano da quest'ultimo.
Rantaro e Kokichi non si erano mai parlati veramente, o meglio, Ouma aveva sempre pura di parlare con l'altro. Sapeva che egli aveva partecipato alla stagione precedente di quello show che piace tanto a Saihara e che cercava spesso di attaccare bottone con lui perché "l'unico sano di mente in quella classe". E ora lo aveva invitato al suo compleanno. Che avrebbe dovuto fare? Parteciparvici? E se fosse una trappola di Kaede? Uno scherzo di cattivo gusto? Avrebbe dovuto confrontare Rantaro per avere la conferma, però-
In quel momento, avvicinandosi con passo svelto verso il suo banco, arrivò Shuichi.
«Ti va di venire da me questa sera?»
Disse, appoggiandosi con le mani sul banco del più piccolo. Non c'era una vera e propria logica in quella richiesta, Saihara non aveva più sbarrato le caselline del suo piano; da gioco dell'oca era diventato scale e serpenti. Saliva e scendeva, a seconda di quello che necessitava in quel momento, aveva perso ogni razionalità. Solo una casella rimaneva, quella della vittoria, quella del suo obbiettivo primario. Kokichi lo guardò piano negli occhi, quasi intimorito, con ancora l'invito in mano.
«Non posso...devo andare da Rantaro questa sera.»
Rispose, abbassando immediatamente lo sguardo. Shuichi lo squadrò più volte, cercando di capire, perché sì, non aveva capito. Ouma aveva appena rifiutato una sua proposta per andare a casa Rantaro Amami. Beh, anche lui lo avrebbe fatto, dopotutto era l'unico sopravvissuto della cinquantaduesima edizione, è una possibilità che capita una volta nella vita. Ma quella risposta lo metteva comunque di cattivo umore, mosse il labbro all'insù in un'istantanea espressione di disappunto e poi si girò, camminando verso l'uscita della classe. Come si permetteva a dirgli di no? Eppure gli sembrava di averlo sotto il proprio controllo. Perché continuava a provare questo sentimento simile all'invidia? Come si chiamava? Gelosia? Era geloso! Oh cielo, era gelosa Saihara! Geloso del più piccolo! Era la sua preda! Solo lui poteva vederlo disperare! Quanto trovava appetitosa quella disperazione che mostrava quando vedeva un omicidio in Danganronpa, la stessa che provò quella volta che gli chiedeva di proteggerlo da Kaede e Kaito. Si morse il labbro nervosamente e si diresse verso la propria abitazione, pensando un modo per fargliela pagare, per fargli capire che l'unico amico di cui ha bisogno è lui. Fecero ingresso i sentimenti di Saihara.
A quella festa, rivelatosi vera, Kokichi si diverti molto, moltissimo. Rantaro, che l'aveva preso sotto la propria ala, da che si stava annoiando appena vide la sua presenza si rallegrò, avvicinandosi a lui e iniziando a parlargli. Il ragazzo aveva un colore verdastro di capelli ma molto spento, molto probabilmente a causa dello stress del gioco, come i suoi occhi, sempre per lo stesso motivo. Sapeva che doveva prendere non pochi medicinali per la riabilitazione e sembrava decisamente esausto, ma ciò non gli impedì di accoglierlo con un caloroso sorriso e un "batti cinque".
«Non credevo saresti venuto veramente, mi fa piacere.»
Disse, sorridendogli ora imbarazzato.
«Ti va qualcosa da bere?»
Continuò. Ouma, nell'imbarazzo più totale, riuscì a balbettare solo un "buon compleanno" mentre gli tendeva un gentile pacchettino dall'involucro divertente. Era una carta violacea con su stampati degli avocado stilizzati, il tutto rifinito con un nastro di raso verde come i capelli di Amami.
«N-Non sapevo cosa ti sarebbe potuto piacere e-e magari non ti piacerà...puoi pure buttarlo!»
Rantaro gli sorrise gentilmente e scartò il pacchetto avanti ai suoi occhi. Si aspettava che come tutti gli altri suoi compagni gli avesse regalato qualcosa riguardante o Danganronpa o il suo talento nel gioco, ma non fu così. Era un set di matite da disegno e uno da colorare, ma non matite comuni, quelle matite che una volta terminate si piantavano per far germogliare i semi contenuti in una capsula alla fine di esse. Amami lo guardò con la meraviglia negli occhi e gli rivolse un sorriso gentile.
«Come facevi a sapere che sono quel genere di persona?»
Kokichi arrossò leggermente sulle gote, lui non aveva idea di come avesse fatto a scegliere un regalo del genere, anzi, si sentiva pure abbastanza sciocco a pensare a un dono del genere. Ma Rantaro sembrava così felice che non potè fare altro che sorridere.
Passò la serata con lui che gli teneva amichevolmente un braccio sulle spalle mentre cercava di liquidare un ragazzo o una ragazza che cercavano di attaccare bottone parlando di Danganronpa. Ma soprattutto, bevve tanto. Bevve così tanto che, ritrovatosi sul tetto di casa di Amami con quest'ultimo seduto su una sdraio, iniziò a parlare di ciò che lui provava ma non sapeva di provare. Sì alzo di scatto e lo guardò sorridendo.
«Amami-kun, io non voglio essere il protagonista della mi storia, ma voglio essere quello che grida più forte!»
Rantaro si alzò avvicinandosi a lui, incuriosito dalle sue parole.
«Sarò quello che farà più rumore, che tutti guarderanno per un motivo o per un altro!»
Amami, che effettivamente aveva bevuto pure più di lui, mise le mani intorno alla bocca e con tono alto lo incitava; "leader supremo!", diceva.
«Io sarò l'ago nel pagliaio, tutti alla fine, anche se infastiditi, mi cercheranno!»
E così si concludeva quella serata al compleanno dell'ex partecipante di Danganronpa V2, Rantaro Amami.
Con lui e Kokichi Ouma che parlavano e ballavano sul tetto.
L'errore fu quando presi dal momento Amami tirò a sé Ouma, baciandolo castamente, senza notare Akamatsu che stava sulle scalette che portavano al tetto a guardarli da un bel po' col cellulare in mano e scriveva con un suo compagno di classe con cui non aveva mai avuto reali rapporti.

𝙰𝚎𝚜𝚝𝚑𝚎𝚝𝚎- Saiouma | Oumasai ( Shuichi X Kokichi )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora