→Caramella|6|

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«Ogni volta che mi vedo con te sento che divento più sporco. Torno a casa, mi butto sotto la doccia, ma l'animo malato di te mi rimane in corpo. Sbaglio pure lì.»
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Gli occhietti violacei guardavano esausti il soffitto. Si portò le mani alla testa e gemette dal dolore. Saihara si avvicinò accarezzandogli i capelli affettuosamente, prendendogli poi le mani e spostandogliele.
«Aspirina?»
Disse, passandogli una pastiglia e un bicchiere d'acqua per buttarla giù.
Il più piccolo si mise a sedere facendo a fatica forza con le braccia. Era disorientato, i ricordi della festa erano mescolati come un impasto di un cake al cioccolato. Spostò l'attenzione su le mani del più alto che reggevano i due oggetti; sussultò. Erano le stesse mani che quella stessa sera lo stavano stringendo al collo, per quale motivo poi? Cercò di ricordare, mentre Saihara inclinava la testa confuso e si sedeva accanto a lui.
«Non sono avvelenati, starai meglio.»
Disse, avvicinando la mano con l'aspirina al suo viso. Ouma lo guardò immobile e spaventato. Non osò muovere un muscolo.
«Apri, su.»
Disse, titubante Kokichi fece come dettogli, aprendo leggermente la bocca. Shuichi quindi gli mise la pastiglia in bocca, passando l'indice sulle labbra quando ritirò la mano per poi porgli il bicchiere d'acqua per buttarla giù. Il più piccolo lo guardò prendendo con mano tremante il recipiente e ne beve un sorso, passandoglielo di nuovo immediatamente dopo.
«Bravo.»
Disse, passandosi il dito con cui aveva toccato le sue labbra sulle proprie. Kokichi era sempre più spaventato, non era la situazione più rassicurante in cui avrebbe potuto ritrovarsi dopo una festa. Avrebbe preferito risvegliarsi nel letto, svestito, con Rantaro, che in quello di Saihara ancora vestito. Shuichi, dopo aver poggiato il bicchiere sul comodino ed essersi tolto cappello e giacca, tornò a sedersi accanto a Kokichi.
«Hey, perché non dici nemmeno una parola?»
Disse, accarezzandogli timidamente la guancia e prendendo una ciocca di capelli.
«Il bianco ti dona molto, sai?»
Disse, tornando ad allontanarsi e sorridendogli tra un dolce e un inquietante. Infatti Kokichi in quel momento indossava ancora i vestiti che aveva scelto per partecipare alla festa; una classica polo bianca a maniche corte e dei pantaloni scuri e lunghi fino al ginocchio lo facevano sembrare ancora più piccolo poiché ricordavano la divisa di una scuola elementare.
«Che ci faccio qui?»
Disse dopo un silenzio imposto dalla sua ancora presente debolezza. Shuichi si alzò sorridendo.
«Mamma ha cercato di uccidermi 5 volte da quando sono nato. Ogni giorno, mi guarda con uno sguardo che non sono ancora riuscito a decifrare.»
Si inginocchiò avanti al letto, prendendo le mani di Kokichi.
«La prima, dopo tre mesi. Cercò di calpestarmi, ma mio padre mi salvo.
La seconda, quando avevo cinque anni. Cercò di colpirmi con il manico di una scopa più e più volte, fortunatamente la scopa si ruppe e lei dovette finire.
La terza, a sei anni. Cercò di affogarmi in una vasca da bagno, mio zio mi salvò.
La quarta, a quattordici anni, ero appena tornato a casa dopo aver vissuto dai nonni per un po'. Cercò di investirmi con la macchina di mio padre, fortunatamente mi spostai in tempo.
La quinta, il giorno stesso del nostro incontro, ma non direttamente.»
Shuichi si avvicinò all'orecchio di Kokichi che rimaneva immobile, come pralizzato. Abbassò la voce.
«Mi disse "sono stanca di farlo io" e mi passò il barattolo delle sue medicine da prescrizione.»
Gli lasciò un bacio sotto l'orecchio, Ouma si tirò indietro.
«Non servì a nulla, quelle nel barattolo erano caramelle, le avevo sostituite io. Ma questo mi fa capire una cosa, sai? Mi fa capire una cosa importante.»
Si alzò, poiché si era seduto di nuovo di fianco a lui.
«Sai per cosa volevo usare il tuo debito? Per chiederti di partecipare a Danganronpa con me. La notte addirittura mi addormentavo pensando ad un modo fantasioso per renderti la mia vittima.»
Prese da sotto al comodino un taccuino e glielo passò; sopra c'erano vari appunti, disegni, calcoli. Tutti avevano in comune una cosa; un omino stilizzato, simile ad Ouma, veniva brutalmente assassinato in ogni pagina. A Kokichi gli si gelò il sangue, terrorizzato dal contenuto di quel quaderno, ma allo stesso tempo non riusciva a staccarvici gli occhi da sopra.
«Il mio pensiero era quello di ucciderti, di provarti dalla vita, della speranza. Di farti sprofondare in quella disperazione che mi mostrasti quel giorno...ma poi»
Butto la testa all'indietro, allargando le braccia e ridendo sguaiatamente, Kokichi alzò lo sguardo e cercò di guardarlo, anche se reggere quella vista era un compito fintroppo complicato per lui.
«Poi ho capito che ti amo quanto mia madre ama me, ti amo così tanto che voglio porre fine alla tua vita. Io ti amo Ouma-kun, ti amo, ti amo!»
Riportò la testa in avanti e si avvicinò al letto, inginocchiandosi di nuovo e riprendendogli le mani. Gli bacio ogni singolo dito, tendendo stretta la presa dato che lui voleva allontanarsi. Kokichi era sconvolto, inquietato. Non solo Saihara aveva una cotta per lui, ma aveva appena affermato ad alta voce di volerlo uccidere. In cuor suo voleva staccare di nuovo l'interruttore, come durante la festa, voleva chiudere gli occhi e non pensarci, lasciando fare agli altri qualsiasi cosa a quel sé non più cosciente.
«S-Saihara-kun...»
Provò a dire, ritirando finalmente poi le mani.
«Io...non ti conosco.»
Saihara lo guardò, alzandosi e prendendo il cellulare.
«Ma tu non hai bisogno di conoscere una persona, a quanto pare. Ne abbiamo il tempo comunque, non preoccuparti.»
Disse, mostrandogli la foto incriminata inviatogli da Kaede. Kokichi perse quel poco di colore che aveva riacquisito. Per qualche motivo però non disse altro, non provo ad obbiettare ulteriormente. Si lasciò scivolare di nuovo steso sul letto, sospiro, poi chiuse gli occhi. Saihara si stese accanto a lui, accarezzandogli dolcemente i capelli. Non poteva scappare, non poteva tornare a casa a chiedere protezione, suo cugino, Kaito, avrebbe usato questa motivazione solo per umiliarlo ulteriormente in pubblico. E proprio poiché Kaito era suo cugino non poteva nemmeno ribellarsi ai sui comportamenti violenti, avrebbe sfasciato la famiglia. Ed era bloccato, bloccato senza poter fare assolutamente nulla, solo subire ciò che Saihara gli stava amorevolmente imponendo. Era triste, era nervoso, voleva andarsene a casa. O meglio, avrebbe preferito tornare tra le braccia sicure di Amami-san. Ma sì giro verso Saihara e gli prese il viso, baciandolo dolcemente, poiché infondo lui non apparteneva alla categoria di persone di cui faceva parte Rantaro, ma a quella di chi non ne poteva più di esistere, quella che la disperazione la imparano sin da bambini, quella che non sperava per non stare peggio. Saihara non ricambiò il bacio, rimase immobile, col cuore che gli batteva velocemente. Lui ne aveva baciate di persone, tante davvero erano. Il suo primo bacio gli fu preso di violenza, ricorda ancora come il suo mento veniva afferrato da un indice ed un pollice e girato lentamente. Di come tirava su col naso mentre rimaneva stretto a quella perosna e come questa cercava di avvicinarsi, baciandogli il collo dolcemente mentre lui girava repentinamente lo sguardo per non venir baciato, fallendo. Ricorda i suoi "ti amo" sussurrati all'orecchio. Questo però aveva un sapore diverso. Era altrettanto disperato, ma lo desiderava, lo desiderava più di quanto desiderasse uccidere il suo amante.
E amante può intendere due cose:
L'amante è Kokichi, che ama, anche se in strano modo Saihara. Che ora lo stava baciando dolcemente steso sul suo letto e che gli teneva le guance in modo delicato, con quelle sue dita piene di cerotti e i polsi pallidi.
Ma l'amante era anche Rantaro, che ora stava cercando il ragazzo per strada, spaventato. Aveva provato a chiamarlo tante, infinite volte. Aveva il cuore a mille. Aveva il desiderio di rivederlo sano e salvo il prima possibile.
Saihara, dopo quel bacio, sentì il telefono del più piccolo vibrare. Sì alzo nuovamente da letto e lo recuperò da sopra il mobile che fungeva da libreria, lesse il nome del contatto.
«Amami-san, non chiamarlo mai più»
Rantaro guardò il cellulare, poi lo scagliò contro il suolo frustrato. Gridò come una bestia mentre ritornava a casa e prendeva l'arma che gli aveva consentito di vincere la cinquantaduesima edizione di Danganronpa; una mazza da baseball bianca e nera col bordo del manico rosso, ancora un po' sporca di sangue sulla punta. Subito dopo si avviò a passo veloce verso l'abitazione di Saihara.

𝙰𝚎𝚜𝚝𝚑𝚎𝚝𝚎- Saiouma | Oumasai ( Shuichi X Kokichi )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora