Insonnia

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Quando Alhena Black riaprì finalmente gli occhi, si ritrovò distesa sul pavimento in posizione fetale, con le mani e i piedi legati da due robusti pezzi di corda. Era ormai notte fonda e la luce perlacea della luna illuminava a tratti i mobili rovesciati del piccolo studio semicircolare, comparendo e scomparendo tra le basse nubi che promettevano pioggia.

La Strega Suprema ghignò nell'oscurità polverosa. Di certo, le impressioni che le aveva dato Jane Potter quattro anni prima si erano rivelate esatte. Dietro quell'aria da folletto impaurito, con quei grandi occhi verdi spalancati e la folta criniera di riccioli corvini, si nascondeva davvero un leone pronto a tirare fuori zanne e artigli nel momento in cui la sua sopravvivenza fosse stata in grave pericolo. Una vera Grifondoro.

Di certo era cresciuta, negli ultimi tempi. Pensava che avrebbe dovuto metterci molto di più a spaventare il piccolo angioletto e indurlo a fare qualcosa di completamente estraneo alla sua anima bianca come il latte, come per esempio afferrare una lampada e scaraventarla in testa a una donna voltata di spalle. Avvertiva ancora il sangue rappreso colarle lungo la schiena dalla ferita che le aveva aperto tra i capelli scuri, che ora bruciava più che mai.

Ma non importava: sicuramente la Potter non era rimasta con le mani in mano e, per quell'ora, i prigionieri dovevano essere ormai lontani. In casa non era rimasto nessuno. Era sola.

La lama d'argento di un corto pugnale abbandonato sul pavimento ricoperto di detriti rifletté i suoi occhi neri, sgranati in un'espressione folle. Quanto erano belli, le diceva sempre sua madre. Occhi d'ebano, che alla luce del sole si scioglievano in una densa sfumatura color cioccolato. Erano grandi, allungati all'estremità, con delle ciglia folte e sensuali. Gli occhi dei Black. Ciascuno di loro li possedeva. Erano il tratto distintivo della famiglia sin dalla prima generazione. Chiunque ne era affascinato e impaurito allo stesso tempo.

In lontananza, un gufo lanciò il suo sinistro richiamo e il corpo di Alhena venne percorso da un brivido. Conosceva bene quella sensazione, anche se negli anni aveva imparato a nasconderla, ma mai prima di allora era stata così forte, tale da farle battere i denti nell'oscurità. Paura.

Il piano aveva funzionato alla perfezione, fino a quel momento. Ora restava solo l'ultima parte, quella che temeva di più. Erano quasi quindici anni che la Strega Suprema sapeva di essere condannata. Era stata una decisione presa molto tempo prima e lei, come voleva la tradizione dei Black, non si sarebbe mai rimangiata un giuramento. Solo che allora, presa com'era da tutt'altre emozioni, così giovane, potente e fragile allo stesso tempo, ignorava del tutto la portata che avrebbe avuto il suo gesto.

Tante volte aveva ucciso a sangue freddo e provato un misto di gioia ed eccitazione nel vedere scorrere il sangue. Ma, ora che toccava a lei morire, il terrore la paralizzava. Sentiva che la morte era lì, sempre più vicina. Avvertiva i suoi passi frusciare sul tappeto verde e argento, a pochi metri da lei.

−Alhena Black.

La Strega Suprema levò il capo a fatica e per poco non si lasciò sfuggire un urlo. Tante volte aveva immaginato il suo ritorno, con un misto di paura e speranza. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter rivedere anche solo per un attimo quei tratti affilati e aristocratici, i fluenti capelli scuri e i suoi bellissimi occhi blu carichi di ardore. Ma la creatura che in quel momento era china su di lei non era più il Tom Riddle che ricordava. Al suo posto c'era un essere dagli occhi iniettati di sangue, la pelle cerea come quella di un cadavere che gli ricopriva il volto scarno simile a un teschio, in cui il naso e la bocca si aprivano come due fessure scavate nel gesso.

−Ti aspettavo – fu tutto quello che riuscì a sussurrare in risposta.

−Lui dov'è? – chiese Lord Voldemort.

La Profezia PerdutaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora