Cayman

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Seguo l'ambulanza che si ferma all'entrata del pronto soccorso.

Posteggio la moto nell'area adeguata, andando diretto in sala d'attesa. So perfettamente che mi non mi faranno entrare, perché non sono un suo parente. Fortuna vuole che non mi abbiano riconosciuto come l'investitore di Selene.

Attendo per parecchio tempo, poi mi decido a parlare con la ragazza che gestisce le chiamate dei parenti.

«Buongiorno, mi chiamo Cayman Divit, sono il fratello di Selene, la ragazza che è stata investita. Vorrei avere notizie e poterla vedere.»

«Scusi, ma i dati non coincidono. Lei si chiama Divit, la signorina fa di cognome Larson.»

«Lo so perfettamente, ma non è come sembra: stessa madre, padre diverso. Ed è per questo che i cognomi sono differenti, ma resto comunque suo fratello.»

«Oh, non lo sapevo, mi dispiace. Le informazioni su sua sorella non sono molto fornite ed estese, c'è davvero poco su cui lavorare, ma vista la sua spiegazione la chiamerò appena ci saranno notizie. Attenda là, nell'area riservata ai parenti.»

Trattengo a stento un sorriso, giusto per non farmi scoprire, e mi siedo sull'unica sedia libera in prima fila.

Non ho idea del perché, ma inizio a parlare con un signore anziano, seduto accanto a me, e ci raccontiamo entrambi le sfortunate vicende che ci hanno portati qui.

-PARENTI DI LARSON IN CAMERA 13- l'altoparlante che pronuncia il suo cognome mi fa saltare in piedi, e quasi sfondo la porta.

«Lei è?» mi chiede l'infermiere.

«Cayman Divit, il fratello di Selene Larson.»

«Bene, la porto alla camera di sua sorella. Ma prima di farla entrare l'avviso: sua sorella non è messa affatto bene; al momento è in coma. Comunque, la sua presenza può farle bene e darle un incentivo per svegliarsi.» Mi scorta fino alla stanza, apre di poco l'uscio e aspetta che entri.

Temporeggio per un secondo, ma mi faccio coraggio e varco la soglia. Sento la porta che si chiude alle mie spalle, mentre i miei occhi sono fissi su di lei.

È davvero nello stato che mi ha descritto quel ragazzo: ago cannule in entrambe le braccia, due sacche contenenti dell'antibiotico e della soluzione salina. Ma la cosa che più mi tormenta è la sua testa: appoggiata su un morbido cuscino, ma completamente fasciata come una medicazione post-operatoria. Sarò stato io a farle così tanto male? So perfettamente di non averla investita apposta, ma sento comunque il senso di colpa rodermi dentro.

Mi siedo accanto al letto in cui è stesa, cercando di tenerle la mano senza causare altri danni. La pelle è fredda, ma il tutto è dovuto ai medicinali che scorrono all'interno delle sue vene.

Le mie mani agiscono per conto loro, iniziando ad accarezzare con gentilezza il suo viso e il collo.

«Santo cielo, svegliati, ti prego! Selene, so che non puoi sentirmi, ma credimi, mi sento in colpa per tutto ciò che ti ho causato. Non è stata una cosa voluta, ma il destino ha messo le mani sulle nostre vite. Vederti così, immobile e statuaria, mi spezza il cuore. Non sono un uomo cattivo, non faccio del male alle persone. Spero che tu abbia sentito quello che ti ho detto, perché le mie sono scuse sincere. Mi dispiace davvero, con tutto il cuore, e pregherò affinchè tu guarisca in fretta e ti rimetta al meglio.»

Dopo questo sproloquio, le lascio un bacio sul naso e mi accingo ad alzarmi. Ma qualcosa di inaspettato mi blocca: la sua mano che stringe la presa sulla mia.

Vedo le sue palpebre che sbattono frenetiche, e per darle forza stringo anche io la presa.

«Can?» un sibilo quasi inudibile, ma lo percepisco lo stesso.

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