Nemeton

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La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso.

Il libro di scienze e chimica che avevo utilizzato durante il mio percorso da liceale amava stupire i propri lettori con citazioni e frasi ad effetto, come se sperassero che con queste uscite particolarmente avvincenti, gli studenti risparmiassero le pagine dall’essere sommerse di sottolineature tracciate con un evidenziatore oppure imbrattate dai più classici scarabocchi.

Ricordo perfettamente che lo sventurato capitolo della ‘riproduzione cellulare’ venne decorato dal sottoscritto con il nome di Derek, scritto a bordo pagina ed accompagnato dal più smielato dei cuori.

Ero davvero un ragazzino ingenuo dato che, colto dall’imbarazzo che qualcuno potesse chiedermi in prestito quel volume, lo cancellai rapidamente da vero idiota.

Vi chiederete la motivazione per cui io ora stia decantando nozioni di scienze naturali, come se non avessi mai rimediato una bella insufficienza in quella materia, beh semplicemente perché il primo essere che ebbi l’occasione di scorgere, sollevate le palpebre, fu proprio un insetto.

L’offuscamento generale della mia mente mi portò a credere che quello fosse un calabrone realizzando solo successivamente, quando la vista si fece più nitida, che in realtà il corpicino di quell’animale non fosse decorato da fasce gialle e nere…ma bensì fosse dotato di una luce intermittente: era una lucciola.

Sollevai il capo per seguire la sua traiettoria di volo e solo grazie a quel movimento mi resi conto di giacere inerme in un capo. L’erba che stava attutendo il mio corpo da un contatto diretto con la fredda terra era piuttosto alta ed incurata, il che mi fece dedurre che dovessi trovarmi in una sorta di foresta, poiché il cielo era completamente oscurato dal fogliame e dalle fronde di numerosi alberi.

Mi misi seduto, constatando che dovessi trovarmi in una foresta sperduta di chissà quale angolo di mondo…o della mia mente. Nonostante le sensazioni che sollecitavano i miei sensi fossero le più realistiche: la leggera brezza che mi scompigliava i capelli, il fruscio dei rami e il luccichio delle lucciole, dovetti ricordare a me stesso che nulla di quel luogo fosse reale.

Era solo frutto della mia immaginazione combinata a forze troppo arcane per essere spiegate da una semplice mente umana. Mi aggrappai con tutta la forza di volontà che mi scuoteva le membra per non cedere a quella costante sensazione soporifera che aleggiava nella mia mente e che mi incitava a dimenticare tutto: la cripta al di sotto della centrale, il pericolo rappresentato dalla famiglia Monroe e la paura di morire da un momento all’altro.

Mi sarei aggrappato con tutte le mie forze al tempore e alla sensazione di casa che mi trasmettevano le chiavi che reggevo nella mano sinistra. Dato che Derek aveva il vizio di perderle costantemente, aveva il potere di smarrire contemporaneamente entrambi i mazzi, vi avevo attaccato un portachiavi a forma di volpe.

Il licantropo aveva gradito il mio gesto poiché quel piccolo peluche, impregnato per bene del mio odore, gli rendeva più facili le ricerche. La caccia non durava poi molto dato che finivano eternamente tra i cuscini del divano o sotto al letto.

Derek…chissà cosa stava facendo in quel momento. Mi mancava terribilmente e più di quanto io riuscissi ad ammettere: non si trattava di avvertire una sorta di distanziamento fisico, come quando lui era al liceo ed io in servizio, qui si stava parlando di una sofferenza causata dal fatto che ci trovassimo in dimensioni differenti.

Dovevo fare in fretta: prima avrei dialogato con qualsiasi creatura mi avesse presentato il Nemeton e prima sarei uscito da lì. Fui colto da una leggera punta di terrore al solo pensiero che avrei potuto benissimo rincontrare il buon vecchio nogitsune, ma mi risposi che se ero stato in grado di affrontarlo una volta, avrei potuto benissimo vincere una seconda volta, magari sbattendogli su quel brutto muso la porta di cui parlava il suo famoso indovinello.

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