Mary

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Mi era capitato spesso di arrovellarmi su questioni apparentemente futili, me ne rendevo conto. Era la mia iperattività a suggerirmi paranoie inutili ed alquanto sorvolabili ma proprio non potevo farne a meno di viaggiare con la mente, guidato dall’ansia.

Tornato in centrale dopo la presunta malattia, i miei sottoposti si erano radunati in una corta di commiato di benvenuto, offrendomi la loro contentezza nel vedermi di nuovo in piena salute (un pizzico di sensi di colpa mi colpì gravemente al cuore) ed offrendomi delle ciambelle per festeggiare il lieto evento.

Ora capisco perché mio padre amasse così tanto trascorrere del tempo con questi poliziotti un po’ scorbutici: oltre al suo accanimento per la giustizia e l’ordine, il vecchio sceriffo aveva anche una passione sfrenata per i dolci, dettaglio del suo carattere che il sottoscritto aveva cercato in ogni modo di estirpare.

Mi facevo in quattro per cercare delle ricette a base di verdura che fossero appetibili non solo nel gusto ma anche nell’aspetto, altrimenti il buon vecchio Noah si sarebbe sentito eternamente ospite di una cucina ospedaliera, e lui si rimpinzava di cibo spazzatura non appena timbrava il cartellino della centrale.

Probabilmente mi sarei dovuto arrabbiare, ma l’idea di tenerlo in riga mi divertiva e parecchio. Me lo immaginavo affamato come un procione di città che zizzaga tra i bidoni della pattumiera alla ricerca di qualcosa da mettere sotto ai denti, qualcosa di possibilmente poco sano ed estremamente zuccheroso.

Ed eccomi qui, ed interrogarmi sul fatto se fosse appropriato o meno divorare la ciambella che Leon aveva fatto la cortesia di acquistarmi. Non si trattava di un dolce qualsiasi, poiché proveniva dalla pasticceria più succulenta della città. Bastava sollevare l’incarto per sprigionare un aroma paradisiaco, che avrebbe rimesso in piedi perfino una squadra di poliziotti scansafatiche come erano i ragazzi della mia squadra.

Tra l’etichetta e la fame, prevalse lo stomaco e decisi di inghiottirla con un paio di bocconi. La mattinata era stata piuttosto frenetica e, sfortunatamente, non avevo avuto modo di trattenermi con Derek per consumare assieme la colazione. Le faccende del caso e del rituale lo avevano portato ad essere piuttosto arretrato con la correzione dei compiti dei suoi alunni e con la preparazione delle future lezioni, fu così costretto a ridursi a lavorare come un forsennato la notte scorsa.

Giusto il tempo di qualche assonnato bacio, il licantropo era corso al liceo, con la promessa che sarei andato a recuperarlo la stessa sera dopo che avesse concluso i colloqui con alcuni genitori. La routine era una bestia maledetta: quando ne eri immerso per troppo tempo iniziavi ad odiarla, ma quando ne stavo lontano (anche per poco) iniziavi a sentirne la mancanza.

Difronte alla notizia di una plausibile catastrofe del mondo sovrannaturale, una morte indotta e la scoperta di altri indizi raccolti da mio padre, sfido chiunque a non gioire nell’immergersi nuovamente in questioni umane apparentemente quotidiane che ora, dopo tutte quelle sfide che dovetti affrontare, mi parevano perfino da poco conto.

Giusto qualche settimana prima, avevo maledetto apertamente la stampante del mio ufficio perché si inceppava ogni qualvolta che ero costretto a stampare delle documentazioni in tempi record, ora fischiettavo allegramente e quasi attendevo con trepidazione quel rumoraccio metallico che emetteva ogni volta che annunciava il malfunzionamento del sistema, così da poterla riparare con le mie, ormai, mani abili.

Qualche settimana prima detestavo anche il fatto che il timbro della centrale perdesse la sua carica d’inchiostro ogni tre fogli, ora mi ero perfino permesso di timbrare la mano di Parrish quando era comparso con altre tre pile di documentazioni da approvare.

Avevo annaffiato le piante del mio ufficio che dovevano aver sentito parecchio la mia mancanza dato che le loro foglie erano afflosciate in una chiara dichiarazione di sete. “Nessuno si è preso cura di voi piccole? Zio Parrish è proprio sbadato. Ora ci penso io e già che ci sono vi sposto difronte alla finestra, così potete recuperare tutto il sole che non avete assimilato” iniziai a parlare loro con un tono dolce: avevo letto su una delle riviste scientifiche di Derek quanto ai vegetali piacesse il suono della voce umana e della musica…chissà se avrebbe potuto funzionare anche con il Nemeton.

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