Capitolo 8

87 22 90
                                    

Sebbene fossero passate ore dalla fine del falò, Alex non riusciva a smettere di pensare agli eventi della sera appena trascorsa. Non appena provava a chiudere gli occhi per mettersi a dormire, il volto di Mary gli appariva davanti per l'ennesima volta, tormentandolo ancora e ancora. Istintivamente il ragazzo sorrideva, ma poi il trascorrere inesorabile dei secondi gli permetteva di ripensare al modo in cui la serata si era conclusa e allora mugugnava infastidito.

Dopo l'ennesimo tentativo fallimentare, sospirò rassegnato e si tirò su, mettendosi a sedere sul materasso morbido. Si passò distrattamente la mano sul volto - era stanco per la giornata appena conclusa e già avvertiva il peso della sveglia che, sebbene fosse domenica, sarebbe ugualmente suonata presto. Infatti, da quando i suoi genitori avevano smesso di considerarlo un bambino - circa sei anni prima -, ogni domenica mattina, a eccezione di quando pioveva, andava a pesca con alcuni stretti collaboratori del padre.

All'improvviso la sua attenzione venne attratta dal trillo del telefono. Il ragazzo posò lo sguardo sul display illuminato e si meravigliò quando vide la notifica di un messaggio.

Un numero sconosciuto. "Scusa."

Immediatamente il suo cuore perse un battito. Osservò la foto del profilo per qualche istante - una ragazza di spalle dai ribelli ricci rossi. "Marì", sussurrò.

"Non devi scusarti", scrisse di getto, senza nemmeno pensarci. Ma poi il rancore prese il sopravvento. "Ma non ti capisco, Mary. Chi sei?" aggiunse. Poi inviò, impavido.

Ma il trascorrere lento del tempo sgretolò ogni sua sicurezza. Attimo dopo attimo sentiva ogni certezza venirgli meno, scorrere via come sabbia fra le dita. Per ore rimase in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata, con il cuore in gola e lo sguardo sempre fisso sulla chat aperta, con la vana speranze che l'ultimo accesso si tramutasse in un "sta scrivendo...".

Lui l'aspettava, lei fuggiva.

I due si trovavano entrambi nella stessa posizione, rannicchiati, con le gambe strette al petto. Uno in attesa, l'altra in difesa.

Linda prese la testa fra le mani - si sentiva messa alle strette e incapace di pensare. Voleva urlare e far sì che tutto il caos nella sua mente cessasse di colpo. Voleva silenzio, voleva ritrovare la pace. Ma non ci riusciva. Alzò lo sguardo e lo puntò nello specchio davanti a sé: grazie alla luce lunare filtrata dalla finestra, vide solo una sagoma sfumata. Non si riconobbe, ma in quel momento non l'avrebbe fatto nemmeno sotto mille riflettori al neon: ricci disordinati, labbra gonfie dischiuse, occhi iniettati di sangue e spenti. Quella non era lei.

Linda sospirò pesantemente e poggiò nuovamente la fronte perlata sulle ginocchia. Provò a respirare piano, ma l'aria sembrava mancarle proprio come qualche sera prima, quando rischiava di annegare. La sensazione di stordimento le sembrò la stessa, con la differenza che quella volta non ci sarebbe stato nessuno a salvarla.

Alex, invece, continuava a torturarsi. Solo qualche ora più tardi capì che attendeva invano: come al solito lei aveva deciso di sparire e lui poteva solo limitarsi ad accettare la sua volontà. Proprio come la prima volta in cui lei era andata via, si chiese se l'avrebbe mai più rivista o se sarebbe sparita nel nulla - e la odiò.

Per un brevissimo istante desiderò di non averla mai incontrata: non sopportava il modo in cui lei lo trattava - un attimo prima il paradiso, un magnifico castello di vetro in cui danzare, leggiadri, sul ritmo dei loro battiti, l'attimo dopo solo frammenti taglienti e macerie scomposte. Odiava che lei gli mentisse - di sicuro gli nascondeva qualcosa: si era accorto del modo in cui diventava improvvisamente fredda ed evitava il suo sguardo. Ma soprattutto odiava tutto il potere che lei aveva su di lui, il modo in cui aveva prepotentemente messo in discussione la sua perfetta razionalità.

Head above waterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora