-4- Tramonto riflesso

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"sei prolisso con i messaggi"

Akaashi sentì un peso sulle proprie spalle e si girò, incontrando un paio di iridi color granturco. Strabuzzò gli occhi, caratterizzati dalle iridi blu, e li puntò in direzione del ragazzo che gli teneva un braccio sulle spalle, facendogli sentire tutto il suo peso.

"co-cosa?" non riuscì a rispondere, non sapeva che dire, come poteva sapere dei messaggi che si era scambiato con la cameriera? E perché si trovava lì, all'entrata del parco, proprio alle 16 in punto? Un vento gelido li investì entrambi e il corvino si strinse nelle spalle, nascondendo metà viso nella pesante sciarpa che aveva avvolto intorno al collo.

"devo essere sincero con te..." Bokuto spostò il braccio dalle spalle del minore e si posizionò di fronte a lui. Lo guardò con espressione seria, quasi dovesse confessare un omicidio, e poi sospirò spostando lo sguardo di lato "...quel numero, che la cameriera ha scritto sul foglietto, in realtà era il mio, le ho chiesto io di farlo. Temevo che, se ti avessi chiesto io di uscire, tu non avresti accettato. Mi ci sono volute tre settimane per convincermi ad entrare in quel bar e venire a parlarti. Ti ho visto per tre settimane di fila, ogni singolo giorno, seduto a quel tavolo con la testa china sul computer. Mi incuriosivi, inizialmente eri solo un ragazzo che mi faceva voltare verso la vetrata del bar. Poi, con il passare dei giorni, il semplice voltarmi è diventato un fermarmi e fissarti per lunghi minuti. Le tue dita che cercavano le parole nascoste tra i tasti del computer, il tuo scuotere la testa di fronte allo schermo bianco, insomma, la curiosità nei tuoi confronti è diventata una specie di ossessione. Alla fine, dopo ventuno giorni, mi sono deciso a mettere piede nel bar, solo perché avevi nascosto il viso tra le braccia e quindi, se mi fossi pentito, avrei potuto girare sui tacchi e andarmene. Non l'ho fatto. Ti ho parlato, ma ancora avevo paura di chiederti di uscire con me, una paura tale che mi ha portato a proporti di invitare la cameriera, mi sono insultato mentalmente quando ti ho fatto notare che le piacevi."

Akaashi rimase in silenzio, ascoltò tutto ciò che aveva da dire il bicolore, non mosse un passo, non mutò la propria espressione, semplicemente ascoltò e si stupì del linguaggio usato dal ragazzo, del modo in cui raccontava le proprie giornate, come fossero eventi di una storia letta e riletta. Sembrava il prologo di un racconto ben strutturato.

Bokuto si passò la punta della lingua sulle labbra secche, le inumidì e percepì l'aria fredda accarezzargliele proprio in quel momento, forse ci fece caso perché erano di nuovo bagnate e quindi più sensibili al freddo.

Guardò con occhi affranti il corvino, convinto di avergli fatto un torto. In fin dei conti, Akaashi si aspettava la cameriera, la bella ragazza dai capelli lunghi e il sorriso ammaliante.

Bokuto sospirò e abbassò lo sguardo sulle proprie mani, si passava i polpastrelli sui piccoli tagli dovuti al freddo e sbatteva le palpebre con una lentezza tale da portarlo ad interrompere la visuale sul dorso delle mani per quasi dei secondi pieni.

"ti prego, dì qualcosa" disse flebilmente, con voce tremante e occhi leggermente lucidi. Sentiva il cuore chiedere spazio tra le rigide costole. Batteva a raffica contro la cassa toracica, accelerava il proprio ritmo fino a far giungere il suo suono sordo fin dentro la testa. Stava provando a diventare protagonista in quel frammento di tempo, ma Bokuto stava cercando in tutti i modi di tenerlo a bada, già sentirselo in gola era troppo per lui, percepirlo addirittura all'interno della testa lo stava mandando in confusione.

Il corvino si riscosse dai propri pensieri. Era stato catapultato con la mente di nuovo nel bar, si era immaginato il bicolore camminare sul marciapiede e fermarsi a guardarlo mentre lui provava a scrivere un romanzo. Si era immaginato le nuvolette di condensa che uscivano fitte dalla bocca semiaperta di Bokuto, piccoli sbuffi caldi contro aria gelida, e gli occhi luminosi color del sole fissare il suo collo scoperto. Perché proprio il retro del collo? Perché era la parte che riteneva più vulnerabile in uno scrittore intento a scrivere. Nella sua mente sembravano quasi delle scene di un film. Un film dalla trama degna di nota.

Come neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora