Nel bosco

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"People aren't born sad,
we just make them that way"

No, sto bene così.

L'eco delle proprie parole le rimbombava perpetuo nella testa mentre fissava immobile il suo riflesso, un intreccio di ossa e capelli a coprirle il resto del corpo.

Nonostante le ginocchia in quella posizione le stessero oscurando il volto e i capelli le facessero da cortina, Brianna poteva cogliere l'enorme dissonanza con quella frase. La sua espressione era tanto corrugata da farle assumere le sembianze di una maschera tragediografa greca.

Come poteva anche solo sperare di interpretare un'altra parte se non quella che le era stata forgiata sulla carne?

No, no, no. Non andava bene. Era tutto troppo trasparente, chiunque avrebbe potuto trafiggerle il petto senza il timore di cosa avrebbe potuto nascondere. Brianna lo vedeva bene: un'anima macchiata di rimpianti.

E lo odiava.

Il suo riflesso scomparse dalla visuale in un tintinnio assordantemente brusco, facendole chiudere gli occhi di riflesso.

Si ritrovò ai piedi un tomo dalle cospicue pagine cosparso di schegge di cocci vitrei.

Era l'ennesima volta che rompeva lo specchio di camera sua, Jason gliene comprava uno nuovo ogni volta. Spazzava sempre via le schegge dal pavimento senza fare storie, come se a romperlo fosse stato lui, così che non le ferissero i piedi. Il giorno dopo Brianna, al risveglio, veniva accolta da un nuovo specchio. E ogni volta questo era più grande del precedente.

Le spalle le si sciolsero all'istante quando sospirò piano, al ricordo. Almeno fino a quando non si ricordò di non essere sola.

Draghessa, la sua gattina domestica, era in allerta con le zampe tese sopra i tasti del piano. Le timide chiazze aranciate sul manto candido bastavano a far saltare la sua copertura camaleontica.

Il volto della rossa si tinse di sincero dispiacere.

«Ghessa! Scusami non...» si avvicinò titubante, una mano tesa ad accarezzarla. «Ghessa vieni!» la supplicò, ma la gatta stava già pianificando la via di fuga più immediata da quella bizzarra padrona. In un fruscio di note stonate si apprestò a saltare giù dallo strumento. Non sapeva ancora però con chi avesse a che fare: un'adolescente con profondi problemi relazionali e una convinta predisposizione all'animalismo.

Brianna non si fece problemi a inseguirla, avvolta nelle pantofole felpate. Senza degnarsi di chiudere la porta di camera sua, attraversò il ballatoio di moquette e si tuffò giù per la ripida rampa di scale che la separava dal piano inferiore. Cercò in salone: tra le sedie e sotto poltrone e divani, persino dietro il vaso di fiori a centro tavola. E poi in cucina, sul tavolo e dentro la dispensa, schiavando mobili e tappeti, rischiando di inciampare un numero indefinibile di volte. Non sapeva nemmeno bene perché la stesse seguendo, si ritrovò solamente a farlo. Forse, voleva solo dimostrare a se stessa che almeno i gatti non intendessero fuggire da lei.

Dopo un solo fugace momento di distrazione, girando la testa a destra e a manca la colse in flagrante mentre si accingeva a uscire in giardino dalla gattaiola, la coda sottile a fare capolino dal portone di casa.

Brianna la raggiunse dopo aver spalancato la porta di ingresso. Una folata di vento fresco la accolse all'esterno. Volse il capo verso il salone di casa, l'orologio a parete segnava le cinque di pomeriggio. L'imbrunire non era lontano, lo avvertì dal cielo pulito e la linea rossastra all'orizzonte: un'aureola di sangue sugli altopiani.

Refoli d'aria fredda le percorse la piega della tutina bianca causandole dei brividi. Decise di rincasare, tornando di nuovo in camera sua.

Dal groviglio di indumenti nell'anta sinistra dell'armadio recuperò una sciarpa nera in tessuto e una leggera felpa di cotone, ne tirò su il cappuccio.

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