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Il suo cuore era congelato nel silenzio più totale. Era come se avesse smesso di provare emozioni, gli sembrava di aver perso qualcosa di davvero importante, e forse era così.
Sopra a quel palco, quando aveva smesso di cantare Seesaw per lasciare che lo facessero i fan e nessuno si era fatto sentire, aveva tenuto stretti il dolore e la delusione.
Avrebbe voluto solo piangere, ma quel palco aveva ancora bisogno di lui, per le esibizioni di gruppo.
Ora che però era da solo, nella sua stanza d'hotel, poteva esternare ogni singola emozione senza essere giudicato o filmato da qualcuno.
Era certo che gli altri ragazzi avessero capito ogni cosa, ma aveva bisogno di almeno un momento per stare da solo, rifugiarsi in quella bellissima e fredda solitudine, sua grande amica per tanti, troppi anni. L'ombra della sua anima in cerca di conforto lo avvolse completamente, riempiendo di buio quel poco di luce che si era creato nella felicità provata all'inizio del concerto. Già, all'inizio, proprio quando tutto stava andando bene.
Una singola, veloce lacrima scese sulla sua guancia, seguita da una seconda, e da una terza. Il suo viso color porcellana si trovò in poco tempo ad esser bagnato da goccioline salate, e cominciò a sentirsi uno schifo, con gli occhi rossi per il pianto. Eppure, non riusciva a fermare quel sentimento, che come un pugnale lo aveva colpito, centrando in pieno il suo tanto ambito bersaglio.
A chi doveva dare la colpa? Alla sua canzone che forse non era piaciuta? Alle persone presenti al concerto?
No, non poteva. La colpa era sua, solo e solamente sua.
La sua voglia di scappare dalle delusioni stava aumentando sempre di più con il passare dei minuti, che diventarono ore. Ore, in cui non fece altro che piangere in silenzio, per paura che qualcuno di esterno toccasse la barriera di sentimenti negativi che si erano presi il suo cuore fragile e distrutto. Dentro di sè, la sua parte razionale lo portava con i piedi per terra, ricordandogli che doveva rimanere lì, in hotel. La sua parte profondamente irrazionale, la parte che guida ogni essere umano in preda alle emozioni, ovvero l'istinto, aveva idee diverse.
Prese una felpa extra-large di quelle che amava di più, poi cercò in tutti i modi di vestirsi per non essere riconosciuto, e riuscì a scappare in un modo o nell'altro da quell'hotel, facendosi passare come semplice turista che alloggiava lì.Cercò un parco abbastanza vuoto da potersi isolare, e si sistemò sotto un albero di salice. I salici erano conosciuti con il nome di "piangenti", e forse erano tristi proprio come lo era lui, che non si sentiva mai all'altezza degli altri. Raccolse un fiore, un bianco soffione, delicato e sottile come un'emozione umana.
Soffiò con delicatezza, e rimase solo un piccolo petalo, una piccola dimostrazione della forza che chiunque poteva trovare dentro se stesso, anche se all'apparenza poteva sembrare quasi impossibile.
Chiuse gli occhi, appoggiando la testa contro il tronco del salice, respirando a pieni polmoni l'aria fresca della natura attorno a sè.
"Chissà cosa succederà al prossimo concerto." pensò, sentendo gli occhi pizzicare, costringendolo ad aprirli.
"Perchè ora sono così emotivo?!" si disse, sfregando via una lacrima che si era, secondo lui, azzardata a scendere senza permesso.
"Come vorrei smettere di pensare.
Smettere di piangere, di provare emozioni, di sembrare un idiota a piangere per qualcosa che poteva capitare a tutti..."🐈
Di colpo, si rese contro che era solo.
Aveva allontanato tutti, si era allontanato da tutti, e le sue confuse emozioni lo avevano trascinato lontano dagli altri ragazzi, in una città straniera e senza certezze.
Il pianto ormai aveva preso il controllo del suo cervello, assieme al panico, alla tristezza e alla delusione.
Un mix letale, che lo costrinse a nascondere la testa tra le gambe, singhiozzando come un bambino.
"Yoongi!" urlò qualcuno, in lontananza. Sperò in cuor suo che non fossero fan, ma poi riconobbe le voci.
Riconobbe poi anche le mani delle uniche sei persone che lo trattavano sempre bene, che gli stavano ogni giorno accanto.
Non capì molto bene ciò che stava succedendo, sentì solo pronunciare frasi per calmarlo, avvertì abbracci a mani sulle spalle, il calore dei suoi amici che lo circondava lasciando da parte ogni singolo dolore.
"Yoongi-hyung?" lo chiamò Namjoon, e lì fu costretto a mostrare a tutti il suo volto che considerava orribile, coperto dalle lacrime.
"Ci siamo noi qui" promise Jin, passandogli un fazzoletto.
"Grazie al cielo hyung, non ti trovavamo più." aggiunse Jungkook.
Nessuno chiese nulla, lo aiutarono solo ad alzarsi e a tornare con calma in hotel. Venne accompagnato in camera dai ragazzi, che si assicurarono delle sue condizioni prima di lasciarlo solo perchè si potesse riposare.
Riuscì a dormire per un po', fu una dormita breve ma senza che alcun incubo facesse capolino nei suoi sogni. Aveva capito di non essere il solo ad aver sofferto per l'accaduto, tutti i ragazzi lo avevano fatto: Seokjin-hyung, Hoseok, Namjoon, Jimin, Taehyung e Jungkook erano sempre dalla sua parte, ed assieme a lui condividevano delusioni e gioie.
Erano la sua famiglia.
Di nuovo, la quiete venne interrotta.
Entrarono tutti, mentre il suo cuore congelato si cominciò a sciogliere, rigenerandosi nel calore del legame che univa la piccola, grande famiglia dei Bangtan.
"Yoon, noi ci saremo sempre per te." lo rassicurò Hoseok, mettendo la sua mano su quella di Yoongi, come facevano sempre quando uscivano assieme, lontano dalle telecamere.
"Siamo una vera famiglia" aggiunse Jimin, mentre Taehyung disse qualcosa nel suo linguaggio alieno, ma che suonò più o meno come un "Le gioie di uno sono le gioie di tutti, i dolori di uno sono i dolori di tutti. Siamo in sette, nessuno di noi vale meno degli altri."
E avevano tutti ragione, dannatamente ragione.
Perchè loro erano una vera famiglia.
Per la prima volta dopo svariate ore, Yoongi riuscì a sorridere. Un sorriso vero, sincero.
E ad essere felice.🐈•fine•🐈