Capitolo 2

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La candela tremolava, il vento fra le strade di Tes era flebile ma ce n'era abbastanza da scompigliare i capelli. Una ragazza camminava nel silenzio della notte di quella zona della città. Vicino alla reggia era improbabile trovare minacce. Si calcò il cappuccio sulla testa e accellerò il passo. Le viette lastricate non erano il massimo per i suoi piedi quasi nudi e i sandali da cerimonia erano scomodissimi. Odiava essere una donna. Suo padre la lasciava allenarsi con le sue armi ma la legge le imponeva di trovare marito e fare la casalinga, filando e cucinando per tutta la vita.
Ma lei guardava con enorme ammirazione tutti quei guerrieri che marciavano a passo svelto per le strade pieni di cicatrici e con le loro armature scintillanti. Avrebbe davvero voluto diventare come loro, acclamata dalla folla, con l'adrenalina che pompava nelle vene, il viso coperto di sangue e le ginocchia tremanti dalla stanchezza.
Sapeva che suo padre avrebbe voluto un maschio, non smetteva di trattarla come un ragazzo. E il suo nome, Ena, era destinato a un lui. Odiava essere se stessa. Sentiva il peso della disapprovazione dei genitori riguardo a quello che era. Sua madre non capiva come potesse essere più interessata a quanto pesasse una spada di acciaio di Valke, la cava al di là del grande deserto, piuttosto che imparare come si cucisse la delicatissima seta dei Gobhi, le capre dei Monti Corgnoli che si ergevano poco distanti da Erbek. Per quello si stava dirigendo al tempio. Gli dei l'avrebbero aiutata.
Ena superò le mura vicino alla reggia, e subito fu investita dall'odore. I vicoli non erano più così bui, anzi erano pieni di luci, e pieni di persone sporche e con dei boccali in mano. Si appiattì sul muro di una casa.
Una donna dall'altra parte della strada stava seduta su un barile di vino, completamente nuda, a gemere mentre un uomo stava davanti alle sue gambe. Poco più in là, altri due stavano avvinghiati l'uno all'altro. Qualcuno gridò di gioia. Ena distolse lo sguardo, concentrandosi solo sul suo respiro anche se la puzza di vomito, sudore e alcol non aiutò molto. La candela che teneva in mano iniziò a ballare e gettò delle strane ombre sul mantello che portava attorno al vestito lungo fino alle ginocchia. La ragazza voltò i tacchi e camminò a testa bassa per tutta la città. Non poteva credere a quante donne si lasciassero toccare da ogni genere di uomo. E quanti uomini perversi ci fossero. Purtroppo aveva spesso notato che molti avevano le cicatrici delle battaglie, molti erano i suoi eroi. Ma, in fondo, erano uomini che non potevano sposarsi fino al ritiro dal campo di battaglia, quindi era comprensibile. Il suo stesso padre era molto più vecchio di sua madre per lo stesso motivo.
Era persa per i suoi pensieri. Non stava nemmeno guardando la strada. Un omaccione la avvicinò. Era alto quasi due metri e largo come un armadio guardaroba, aveva la pelle scura e scottata dal sole e le cicatrici bianche che brillavano alla luce della candela. Aveva i capelli lunghi e sciolti, e dei tatuaggi sul volto. Doveva essere un generale.
- Ehi, bambina. Che fai qui?- il suo vocione cavernoso era dolce e mansueto. Si vedeva che cercava di non spaventarla. Ena raddrizzò le spalle e alzò il mento, per parlare a un soldato con il rispetto che suo padre le aveva insegnato.
- Vado a pregare al tempio, mio signore.-
- Ma davvero?- l' uomo aprí la bocca in un ghigno. Poi notò i sandali da cerimonia e i suoi occhi incupirono. - Di chi sei figlia, bambina?-
- Dovrebbe interessarti, mio signore?- rispose Ena infastidita. Di sicuro l'avrebbe portata a casa. Ed era troppo importante esprimere quella preghiera. Cercò di restare calma. Magari poteva convincerlo ad aiutarla.
- Sì. Ma certo. Vieni dai quartieri della Reggia, al vedere dai tuoi abiti. Non dovresti essere in questa parte della città.-
- Sì, invece.- lui la guardò storto. - Mio signore.- si affrettò ad aggiungere.
- Stai andando al tempio a pregare. Per cosa esattamente?-
Alcuni soldati passarono e fischiarono i due. Poi ridendo barcollarono dentro qualche bar. L'uomo non sembrò minimamente toccato dalla cosa, mentre Ena si coprì col mantello e abbassò le spalle come a volersi chiudere a riccio.
- Prego gli dei di cambiare la legge e farmi diventare un soldato. Mio signore.- Lui rise di gusto. Ma nel suo sguardo c'era qualcosa di diverso. Orgoglio? No, molto di più. Ma Ena non riusciva a capire cosa. Qualcosa nella sua testa iniziò a dirle di fuggire e correre verso un posto sicuro. Ma lui era un soldato, l'avrebbe presa subito. E poi, perche doveva scappare? Era stato gentile fino a quel momento.
- Come ti chiami?- lui la prese per mano. Lei non lo strinse, ma poteva sentire ugualmente i calli duri e la pelle secca e martoriata.
- Jana.- non si fidava più a confidargli il suo nome. Non sapeva nemmeno lei il perché, ma qualcosa le urlava nella testa che quell'uomo era un pericolo. - Di chi sei figlia, Jana?-
Effettivamente, si stavano dirigendo verso il tempio. Era l'unica strada della città fuori dalla Reggia che conosceva. Usciva solo per pregare. - Mio padre era un ufficiale della Guardia Reale. Si chiama Har.- suo padre si chiamava Saroh, ed era in capo della Guardia Reale, ma non glielo avrebbe mai detto. - Tu come ti chiami?- gli chiese ingenuamente, sperando che almeno lui non mentisse e potesse in qualche modo difendersi con la legge se le cose si fossero messe male.
- Non sono così stupido da dirti il mio nome, ragazzina.-
- Perché dovresti essere stupido? Potrei ricompensarti per la buona azione che stai facendo, portandomi al tempio.-
Lui le strinse il polso con forza e la strattonò. La candela cadde a terra e si spense. La sbatté sul muro di una casa e si appoggiò a lei per non farla scappare. Ena non stava capendo più nulla. Il cuore le rimbombava nelle orecchie e le spalle facevano male per la botta.
- Perché non sto per fare una buona azione.- rispose lui in un sussurro famelico. Strappò il mantello e iniziò ad alzarle la gonna. Ena riprese velocemente il controllo di sè. Alzò il ginocchio e colpí il soldato in mezzo alle gambe. Portò la mano al petto e si liberò dalla stretta di lui e, sfruttando lo spazio fra il corpo e il muro, sgusciò fuori. Gli tirò un pugno alla mandibola e un calcio alle costole e corse via nei vicoli poco illuminati. Cambiò strada parecchie volte, senza sapere bene dove fosse ma seguendo la luce pallida del tempio sulla collinetta della città. Controllò il suo respiro, anche se era sconnesso e pesante. Una vecchina gettò dell'acqua da una casa e la vide.
- Che fai, ragazzina?- le gridò.
- Vado al tempio.- la vecchia le indicò che strada prendere.
Camminò per un po', sicura che ormai il soldato si fosse stancato di seguirla. Infatti non sopraggiunse nessuno e continuò nel silenzio il suo viaggio. Il tempio era enorme e si stagliava anche al buio della notte. La facciata era adornata da colonne alte oltre dieci metri, bianche come il latte e liscissime. Il tetto di legno dipinto d'oro catturava gli occhi, persino contornato dalle tenebre. Non le era mai stato permesso di entrare. Le donne non potevano vedere gli dei. Ma lei aveva intenzione di disobbedire a parecchie regole. Spinse la piccola porticina laterale alla maestosa entrata. Gli interno erano illuminati dalla luce della luna e tredici statue alte circa otto metri che la fissavano. Rimase immobile per una paio di minuti, indecisa su cosa fare. Poi si rivolse alla prima statua. Sembrava un uomo di mezza età, con abiti eleganti, una sola offerta votiva. Sapeva chi stava guardando. Abios, la Morte. Si allontanò, spaventata. Corse al centro del tempio. Poteva vedere tutti. L'uomo con la barba, unico seduto su un trono, che stava dietro di lei era Zoroah, il padre di ogni creatura. Alla sua destra stava sua moglie, Ella, madre dell'Universo, che teneva la mano al marito. Poteva vedere i due gruppi di dei, il primo destinato a coloro che si destreggiavano nelle arti, con un ragazzetto intento a cantare, un fabbro e un mercante, il secondo per i guerrieri, con le personificazioni della Violenza, della Strategia e della Vittoria. Alle donne veniva concesso di pregare solo Acora, una giovane vergine pronta per il matrimonio, e Alov, una corpulenta donna dai fianchi larghi, secondo la credenza, molto adatti alle gravidanze. Gli altri dei erano spesso ignorati. Ena aveva sempre creduto fossero in realtà i più importanti e potenti e aveva sempre sacrificato le proprie offerte sia alla Terra che al Fato. Solo Abios la spaventava. Eppure, qualcosa la spingeva a non distogliere lo sguardo da quell'uomo dallo sguardo gentile e severo. Non si avvicinò ma pregò solo lui.
- Se non dovessi farcela, prendimi.-

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