Capitolo 6

10 0 0
                                    

Il suono delle ossa che si rompono è un suono particolare. Non fastidioso, tronco, soffocato dalla pelle. Le piaceva.
Che marito debole, e che uomo così meschino e inutile. Era sempre stata molto più uomo di lui, si diceva. Aveva perso il suo innamorato molti anni addietro, aveva dovuto sposare un imbecille della sua "specie", come aveva detto il vecchio padre allora, aveva creato e cresciuto quattro figli, tirati su come a lei era stato insegnato, a pane e sangue, e aveva mosso le trame del re per tutto il tempo. Pur non essendo altro che la moglie del consigliere. Consigliere, pensò sprezzante. Consigliere del nulla, il re non aveva mai avuto effettivo potere, gli stregoni bianchi non contavano nulla da molto tempo, e gli stregoni neri gli portavano rispetto solo per non avere altre guerre.
Aveva sempre pensato di dare almeno uno dei suoi eredi ad ammassare la casata reale, perché per quanto non contasse nulla, il denaro che ne avrebbe ricavato sarebbe stato ottimo. E i suoi figli, che orrore di ragazzi, almeno se ne sarebbe liberata. Una era la figlia bastarda del suo innamorato, due gemelli uno più sprezzante dell'altro, sempre ai suoi piedi a cercare di impressionarla con le loro stupide magie, e l'ultima, una disgrazia con il viso d'angelo.
Erano cresciuti tutti alla maggiore età eppure sembrava fossero ancora inermi come dei poppanti. E nessuna quantità di botte era riuscita a cambiarli o a migliorarli. Incapaci, proprio come il loro padre che ora piagnucolava sul pavimento tenendosi il braccio.
- Madre? - la chiamò una voce.
- Che vuoi?- voltandosi vide la giovinetta bionda che si ritrasse, cercando di evitare un colpo che non era partito. - Il re chiede aiuto.- balbettò tremante.
La donna rizzò la schiena, passò le mani sull'abito rosa e si ricompose velocemente. Sembrò cambiare completamente la sua personalità, gli occhi iniettati di ira si rilassarono, le mani da chiuse a pugno si distesero mostrando le lunghe unghie curate, rimise le scarpe ai piedi, e si incamminò verso l'ufficio con fare delicato ed elegante. Nessuno, se non l'avesse vista poco prima, si sarebbe immaginato che avesse appena finito di picchiare il proprio marito. E così doveva essere, o i suoi piani di ricchezza non avrebbero avuto buon esito.
Se solo suo marito non fosse sempre nelle cucine, di certo non avrebbe avuto paura di essere in disordine, quel fannullone. Il ticchettio dei tacchi la seguì fino a fuori. Trovò il modo di rompere la maniglia della porta di legno, e la lasciò cadere con fare noncurante sul pavimento di marmo nero. Un silenzio carico di tensione calò nella stanza. La neve fuori dalla finestra scendeva con calma, ma persino lei sembrò farsi più fredda. Non appena la porta si chiuse dietro la megera, la ragazza corse dal vecchietto che stava ancora agonizzante a terra. - Papà, papà, che è successo?- L'uomo sputò del sangue. - Oh, lo sai come è tua madre, si arrabbia per così poco.- la voce ruvida gli tremò mentre cercava di alzarsi in piedi. La veste nera ricamata di rosso tutta stracciata gli scivolò dalle spalle, lasciando intravedere la pelle cadente e livida. La ragazza iniziò a sussurrare delle formule per la guarigione.
- Va tutto bene bambina mia, non rischiare che lei si arrabbi solo per curarmi.-
Alla ragazza brillarono gli occhi per le lacrime, ma si costrinse a non piangere. Le guance le si arrossarono per lo sforzo.
Lasciò che il padre le si poggiasse sulle spalle e lentamente si diressero alle stanze.
I pavimenti verde giada contrastavano con il legno pallido dei corridoi, le porte rosse accendevano l'ambiente, altrimenti spoglio. Niti trovava quella casa orrenda. Senza un disegno che decorasse le pareti, senza una lanterna a illuminare la via, senza un vaso pregiato in mostra. Ne avevano, di ninnoli regalati dal re, avrebbero potuto mettere in mostra la loro posizione. Invece la madre se li teneva nel suo studio, come tutti i libri, e ovviamente a nessuno era permesso entrarci. Durante l'inverno soffrivano il freddo, le stoffe pesanti le prendeva tutte lei per sfoggiare abiti sempre adatti al gusto corrente. I figli e il marito mangiavano ad orari differenti e lei prima di tutti, per avere il meglio, ovviamente.
Spesso si era chiesta da cosa derivasse tutto il suo odio, senza mai trovare una vera risposta. I suoi fratelli dicevano che fosse colpa sua, che era nata così strana, bionda come i maghi delle colline. Ma loro sono di un'altra razza, dicevano, non sono come noi, come non lo sei tu. Era arrivata persino a domandarsi se davvero non fosse figlia dei suoi genitori, ed era corsa da suo padre piangendo e dicendo che sapeva che la mamma era arrabbiata perché non era la loro bambina, ma suo padre le aveva risposto con una voce calda e roca che lei era e sarebbe sempre stata la sua bambina. Eppure quel mostro di sua madre non la pensava allo stesso modo, le si leggeva in faccia che avrebbe preferito una famiglia diversa.

La mattina seguente fu la sorella minore, Kiya, a svegliare tutti gridando.
Niti corse per i corridoi sbattendo contro uno dei gemelli diretto verso la camera della ragazzina. Entrambi erano scarmigliati e mezzo svestiti, scivolavano sui pavimenti grazie alle calce di lana, e battevano i denti. Le mattine d'inverno sono rigide sui monti Corgnoli.
- Che diavolo ha da gridare quell'anatra?!- rimbombava fra le mura. Dovevano stare attenti, la mamma non sopportava di essere svegliata presto, e gridare non era un buon metodo di evitare la sua ira.
Boccheggiando arrivarono nella sua stanza ma Kiya non c'era. Lenzuola rosa in ordine, sembrava nemmeno ci avesse passato la notte. - Kiya?- nessuna risposta.
Provarono più forte. - Kiya! Dove sei?-
La voce di Serea li chiamò. - Ragazzi?-
Kou sbraitò: - Piantala di bighellonare, aiutaci a trovarla.-
- È da papà. Ha passato la notte lì.- entrambi i ragazzi si girarono con orrore trovandosi davanti il giovane pallido come un cencio con gli occhi rossi dal pianto sbarrati dal terrore. Nessuno aveva il coraggio di dire quello che stavano pensando. Si precipitarono nella camera del padre e forzarono con violenza la porta. La scena a cui assistettero era quella a cui avevano sempre pregato di non assistere mai. Kiya stava ai piedi del letto, in ginocchio, a fissare davanti a se senza dare segni di aver notato i fratelli, immobile, pallida e tremante. Di fronte a lei, il padre, rigido, fermo, con gli occhi aperti e vitrei. L'ultimo baluardo di difesa nei confronti della donna era caduto.
Nemmeno si accorsero del suo arrivo, tanto erano sconvolti. - Beh?! Che ci fate tutti qui?- e nessuno le rispose. Mollò un ceffone al primo dei quattro che le capitò a tiro, sfortunato Kou, che la guardò basito senza parlare.
La donna guardò anche gli altri e poi il letto del marito. - Ah, finalmente.- sospirò. - Ora posso liberarmi di voi.- si voltò e se ne andò iniziando a contare sottovoce cosa servisse per il funerale.
I tre fratelli maggiori si guardarono, non sapendo come reagire e non volendo piangere di fronte alla piccola, che ancora non dava segni di riuscire a muoversi. Niti le si avvicinò, le prese con dolcezza le spalle e la guidò fuori verso la stanza, mentre i due ragazzi andavano a preparare la colazione alla madre. Cercarono di fare come se nulla fosse, in modo da non creare ulteriori problemi.

TempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora