Capitolo 4

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-Senti, non volevo trafiggere l'armatura.-
-Lo so.-
-Ce l'hai con me? Perché, davvero, la porto dal fabbro... Lui mi deve un piacere, di certo la farà velocemente. Pago io la riparazione, sarà come nuova, vedrai.-
-Nia, ti ho detto che non importa almeno quindici volte. Mi sta bene che tu sia riuscita a rompere l'armatura...-                                                                                                                        
Xenia guardava il fratello con degli occhi lacrimosi. -Ma? -  
- Ma avevamo detto che doveva essere uno scontro a pari. Non lo è stato. -  il ragazzo aveva uno sguardo duro, e accusatorio. La ragazza rimase in silenzio, guardando verso il terreno di sabbia battuta con aria colpevole.
-Andiamo, nostro padre ci aspetta in giardino per la cena.- le sussurrò lui. 
Entrambi i ragazzi erano sporchi  di polvere e sudore, i vestiti bianchi erano completamente stropicciati dai pettorali delle armature e bucati dalle lame, le trecce di entrambi grondavano di sudore. Finiva sempre così dopo un intero pomeriggio di allenamento. Si impegnavano al massimo, Xenia per mantenere il primato di vittorie  e Elon per  poter finalmente riuscire a batterla e dimostrare che essere il fratello minore non significava essere per forza il perdente della famiglia. Le guardie dicevano sempre che se la storia del primo parto della regina non fosse stato sapere comune, li avrebbero sicuramente presi per gemelli. Entrambi con pelle color del cioccolato fuso, zigomi alti e spalle dritte; lei era imponente per essere una donna di poco più che vent'anni mentre lui, sedicenne, la superava in altezza di quasi mezzo metro. Entrambi avevano ereditato il portamento e la ferinità del padre e la dolcezza dei modi e l'educazione della madre. Erano dei buoni giovani, pronti a dialogare con il popolo e tenere testa a chiunque avesse messo in pericolo la loro città.
Da piccoli erano soliti scavalcare il palmeto del palazzo e imbucarsi fra le stradine della città, correndo come pazzi e nascondendosi dai genitori. Li conoscevano tutti, e tutti li temevano. O meglio, temevano il loro sangue e cosa questo comportasse. Molto spesso i bambini lasciati soli nei vicoli più malfamati non finivano bene, ma nessuno si sarebbe permesso di toccare i due eredi.
Xenia sarebbe stata la regina, un giorno. Soltanto se lei avesse abdicato, Elon si sarebbe potuto sedere sul trono.                                                                                                         
Il sole del pomeriggio inoltrato gettava raggi fra le stanze del castello, le quali riflettevano un arcobaleno di colori, dato dai tessuti appesi e dalle lampade ad olio dorate. Ultimamente le temperature erano aumentate sensibilmente, e il re aveva deciso che le piante decorative che avevano accolto lui e la sua ormai defunta moglie valessero molto di più in giardino, dove non avrebbero sprecato l'acqua della città.
Xenia nella sua camera si guardò allo specchio. Il suo corpo non le piaceva, non capiva come mai fosse l'oggetto del desiderio di molti. Spalle larghe, braccia muscolose e sfregiate dalle lame, lunghe dita callose, seni piccoli e fianchi stretti. Nulla a che vedere con quello che si cercava nella perfetta moglie. Una serva le si avvicinò. -Mi posso permettere di spegnere le lampade, vostra maestà?- i suoi tratti cozzavano con quelli della popolazione. Era bassa, rotonda e pallida, i capelli biondi e gli occhi scuri. Xenia si trovò a domandarsi quale fosse la sua storia. La donna la stava squadrando, chiaramente imbarazzata dalla sua nudità.                                                          -Sì, scusa.- poi iniziò a prendere l'abito che le era stato dato per l'appuntamento della sera. Storse il naso, non era di certo una cosa che avrebbe voluto mettere.
-Ehi, sei nuova?-
-Chiedo perdono, vostra maestà. Ho sbagliato in qualcosa?-
-No, assolutamente. Solo che qui non serve la formalità che hai nei miei confronti. I nostri aiutanti sono amici. Solo con gli sconosciuti manteniamo le distanze.- La giovane sembrò sconvolta. Regnanti che non hanno formule specifiche con cui chiamarli, che considerano aiutanti i servitori, doveva sembrarle una pazzia. -Oh.- rispose con un tono incerto, si guardò intorno cercando di non fare contatto visivo poi rimase ancora in silenzio.
-Vi serve una mano?-
Xenia rigiró l'abito fra le mani. -Sì, grazie mille. Non so davvero da dove partire con questo...- si batté una mano sulla fronte. -Ma che maleducata. Come ti chiami?-
-Giglio. Vengo dalle colline di Tes ma...- sorrise - Le capre non sono mai state la mia passione, se devo ammetterlo.-
Xenia rise. In effetti, la capiva perfettamente, nessuno odiava quanto lei tutte le faccenducole di palazzo, tutte i nobili che si presentavano alla loro porta con scuse inutili, o i mercanti che si intrattenevano spesso nel giardino a chiacchierare, sperando di trasformare la serata in ben altro divertimento.
Fuori iniziò una zuffa fra due uccelli colorati. Stridevano e strillavano, in mezzo a un turbinio di ali azzurre e rosse. Vinse l'azzurro, che volò via soddisfatto con il becco sporco di sangue. Giglio rabbrividì e cercò di chiudere le leggere tende bianche davanti alla finestra. La brezza della sera riusciva a farle danzare scompostamente per tutta la stanza.
-Maestà dovete coprirvi, o ne risentirete.- La principessa si stagliava come un'ombra in mezzo alla stanza azzurra. Giglio prese l'abito di seta color pesca e lo iniziò a legarglielo intorno ai fianchi, mentre Xenia cercava di ignorarne il colore e la forma cercando di seguire le voci della città. Il tramonto era ormai vicino, le botteghe iniziavano a chiudere e gli uomini iniziavano il quotidiano canto che li accompagnava nelle loro case.
- Non è di vostro gradimento l'abito, vero?-    
- Ti prego Giglio, non essere così formale.- la voce di Xenia era lamentosa e indispettita. Odiava non poter trattare gli altri alla pari, odiava le regole di corte. Almeno suo fratello nell'esercito sarebbe stato come tutti gli altri. - Ma hai ragione. Il rosa è per le dame, io non sono una dama.-
- Non lo siete?- Giglio portò una mano alla bocca velocemente intuendo lo sguardo duro che Xenia le rivolse, si schiarì la gola e riprese -Volevo dire, non lo sei?-  
-Non ho intenzione di guidare questa città.- la giovane sembrò perdersi nei suoi pensieri, come se non fosse la prima volta che ragionasse sull'argomento. Poi arrossì e continuò: - Nel senso, non la guiderò come una dama.-
La serva osservò con degli occhi dubbiosi, posando un pugno sotto il mento. - Come hai intenzione di guidare la città, allora?-                                                                                       
- La guiderò come Xenia, come una giovane che possiede sia la gentilezza della magia che la violenza delle armi. Non sono una dama, sono molto di più. La città stessa merita di più.- biascicó, balbettando e muovendo le mani di qua e di là cercando di coprire l'ovvia bugia. 
Giglio rise, slegò la gonna e disse:- Allora forse dovremmo mettere qualcosa di molto più consono, cara.-

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