Capitolo 11

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Una imperdibile occasione




«Vuoi continuare a negare, Valentine?».
Evidentemente sì, lo volevo, perché risposi: «Cosa?».
Lui rise e notai Kate avvicinarsi a noi.
«Ohi, Eveline! Come è stata la mostra?»
«Una mostra quindi...» commentò Nathan, sottovoce.
«Molto interessante, grazie per avermi dato quel biglietto, Kate» le risposi, guardando Nathan, come se volessi provare a fargli capire che non avevo avuto nessun appuntamento con Ruiz, come, chiaramente, presumeva.
«Stasera dormo da Nathan. Ci vediamo domani» mi disse lei e si diressero verso i dormitori maschili.

Rientrai in camera e mi guardai allo specchio. L'umidità non era stata clemente con i miei capelli e me li aveva arruffati per bene. Mi tolsi il cappotto e mi stesi sul letto con ancora i vestiti addosso. Annusai i capelli ed il maglione di lana, cercando di capire come mai sentissi ancora il suo profumo su di me. Mi avvolsi in un abbraccio nella speranza di sentirlo un po' più forte.

Poi qualcuno bussò alla mia porta.
Aprii senza dire nulla, convinta che Kate avesse dimenticato qualcosa, ma quella che aveva dimenticato qualcosa, invece, ero io.

«Ha dimenticato questo...».
Spalancai gli occhi e sentii il cuore accelerare il suo battito.
Ruiz era in piedi, davanti a me, che mi porgeva il mio grande cappello con la falda.
«Oh, gr... grazie» balbettai.

Ci pensai su solo per un attimo: «Come faceva a sapere quale fosse la mia stanza?» chiesi.
«È scritta nel modulo d'iscrizione ai corsi...» rispose frettolosamente. «Devo proprio scappare, sono parecchio in ritardo. Buonanotte, Miss Valentine» aggiunse.
«Buonanotte» risposi, e lo osservai andare via in tutta fretta.

Richiusi la porta e rimasi lì, con le spalle appoggiate, per qualche minuto. La sua risposta sulla mia camera non mi convinse. O meglio, ammesso che fosse stato vero, lo aveva letto e memorizzato prima di quella sera? Fu un arcano che non riuscii mai a svelare.

Sentii il cuore lentamente rallentare. Amira aveva ragione. C'era qualcosa in quell'uomo che riusciva ad accendere ogni parte di me. Solo che, forse, non ne ero ancora pienamente consapevole.

Era ormai quasi metà dicembre e gli esami di metà corso si stavano pericolosamente avvicinando

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Era ormai quasi metà dicembre e gli esami di metà corso si stavano pericolosamente avvicinando. Quel giovedì dopo “Little Louvre”, ebbi la sensazione che Ruiz, durante la lezione, avesse gli occhi puntati su di me, più del solito.
Passeggiava per l'aula, come faceva sempre mentre spiegava, ma percepivo che, in qualche modo, lo facesse per starmi vicino.
Avrei voluto rivederlo al di fuori della lezione, passare del tempo con lui come avevamo fatto in quel bar, ma mi sembrava un traguardo a dir poco impossibile.

Sul finire della lezione, invece, mi si aprì davanti uno spiraglio di speranza.
«Domani sera, ospiterò a casa mia un piccolo rinfresco per la chiusura di un concorso letterario di cui sono stato giudice. Verranno letti alcuni dei racconti che hanno partecipato... se siete interessati, siete i benvenuti!» disse, con un sorriso. «Vi scrivo alla lavagna l'indirizzo e il mio numero di telefono, in caso aveste problemi a raggiungerlo» concluse.

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