Capitolo 8

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Chi è di scena?




«Mi scusi, come sarebbe che io sarò Satine?» chiesi, rigirando il cappellino tra le mani.
«Elisabeth è afona da qualche ora. Aveva un brutto mal di gola ed è peggiorato. Ora entra in campo lei, Miss Valentine. Se canta bene quanto balla, il Moulin Rouge è salvo. Come si dice, lo spettacolo deve continuare».
Fissai Ruiz con la bocca spalancata. Non potevo credere a quello che stava succedendo.

«Miss Valentine, stia tranquilla, abbiamo tutta la notte per prepararci. Spero che lei non abbia altri impegni...» aggiunse, prendendo posto accanto a me.
«No, beh... io... no» farfugliai in modo confuso.
«Bene, adesso proviamo il numero di apertura con gli altri, poi ci fermiamo qui, io e lei, e prepariamo il resto, insieme, finché non si sentirà pronta. Va bene?».
Annuii con la testa.

Lui si alzò in piedi, salì sul palco e: «Pronti con il numero di apertura?» chiese. «Miss Valentine interpreterà Satine, quindi non farà più parte del vostro numero. Tutti in posizione! Tre, due, uno...» e fece partire “Lady Marmelade”, mentre io mi coprivo il viso con le mani.
Nella mente, però, continuavo a domandarmi chi avrebbe interpretato Christian.
Come mai Ruiz aveva detto che ci saremmo fermati solo “io e lui”?

Un'ora più tardi, il pezzo era davvero perfetto, i ragazzi erano stati bravissimi.
Io però non riuscivo a smettere di pensare a cosa sarebbe accaduto non appena loro fossero andati via ed io mi sarei ritrovata lì, da sola, a provare con Ruiz.

«Bene, allora ci vediamo domani. Eseguite la coreografia esattamente come quest'ultima prova e andrà bene. Potete andare...» congedò il corpo di ballo.
Venne verso di me e: «Miss Valentine, ora tocca a noi» disse, strizzandomi l'occhio.
Ed io non potei fare altro che alzarmi e seguirlo come un automa.

Salii sul palco e mi guardai intorno.
Il teatro era desolato e spento, erano accesi solo due fari che puntavano sul grande pianoforte a coda nero, così lucido che sembrava quasi brillare.
Ruiz prese posto allo sgabello e sistemò un foglio davanti a sé.
«Professore, ma dobbiamo aspettare Christian? Chi lo interpreterà?» domandai.
Del resto, era una domanda lecita, si trattava del mio co-protagonista.

Lui accennò un sorriso.
Accarezzò dei tasti del piano e: “My gift is my song... and this one's for you...” intonò con gli occhi su di me.
Come stregata, iniziai a camminare lentamente, verso di lui, mentre continuava ad eseguire il brano. Aveva una voce meravigliosa e suonava divinamente.

Mi appoggiai al pianoforte e lo osservai come fosse un'opera d'arte vivente. Cantava socchiudendo gli occhi e, di tanto in tanto,  quando li riapriva, guardava me. Suonava senza vedere dove posasse le mani, era bravissimo.
Mi abbandonai al suono della sua voce e del dolce strumento che accarezzava con maestria, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.

Nella mia mente si susseguirono, come in un magico turbinio, tutte le scene vissute con lui: dalla prima sera in fila al chiosco, quando si voltò con quel sorriso disarmante, a quando si presentò come il mio professore di scrittura creativa, da quando apparve nella penombra della biblioteca, a quando mi passò quel bicchiere di tè e poi si sedette al mio fianco e mi raccontò di Masoch.
E pensai che avrei voluto tanto sedermi su quello sgabello, al suo fianco e sfiorargli il viso con una carezza.

“How wonderful life is, now you're in the world...”, intonò con gli occhi nei miei.
Una miriade di brividi colpì il mio corpo e, mentre continuava a cantare con una dolcezza inaudita, all'improvviso, compresi la risposta alla mia domanda: era lui il mio Christian.

Sulle ultime note, un enorme sorriso mi esplose sul viso e non potei fare a meno di applaudire.
«Miss Valentine, le presento Christian» concluse, puntando la sua mano verso di sé.
Ed io mi resi conto di aver appena vissuto i tre minuti più belli di tutta la mia vita.

«Adesso, tocca a lei. Ecco, queste sono le parole...» affermò, rapendomi da quell'aura magica in cui ero caduta, mentre mi passava uno spartito.
«Ehm, conosco i brani a memoria...» ammisi, grattandomi la testa.

Lui spalancò gli occhi.
«Continua a stupirmi...» sussurro, con gli occhi fissi sullo spartito, quasi come se avesse detto quelle parole tra sé e sé.
Poi continuò: «Questo è il brano di chiusura. Non l'abbiamo mai provato a lezione perché è un assolo dei protagonisti. Lo faremo insieme...».
Presi il foglio tra le mani e lessi: “Elephant Love Medley”.
Era la scena d'amore più bella di tutto il musical... e noi l'avremmo recitata insieme.

Mentre continuavo a provare la mia parte, con Ruiz che mi toccava l'addome per assicurarsi che io usassi il diaframma nel canto, sempre più imbarazzata - o forse, per meglio dire, totalmente rapita da lui - notai Alison, l'assistente, venire verso...

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Mentre continuavo a provare la mia parte, con Ruiz che mi toccava l'addome per assicurarsi che io usassi il diaframma nel canto, sempre più imbarazzata - o forse, per meglio dire, totalmente rapita da lui - notai Alison, l'assistente, venire verso il palco con un vassoio avvolto nella carta.
«Sono le nove, ho pensato che aveste fame. Qui dentro ci sono dei panini e delle bibite» disse con un sorriso, posando il vassoio su un piccolo tavolino, appena sotto il palco.
«Ali, sei la migliore!» le rispose Ruiz. «Una pausa, Miss Valentine?»
«Sì, speravo che me lo chiedesse» dissi, sorridendo.

Ci sedemmo per terra, nella zona illuminata del palco, uno di fronte all'altra e Ruiz mi passò un panino. Lo scartai lentamente, e mi resi conto che avrei dovuto mangiare davanti a quello che, prima di ogni altra cosa, restava sempre un mio professore.

Addentò il suo panino e mi sorrise. Ed io feci lo stesso. Restammo in un silenzio parecchio imbarazzante per un po', fino a che lui non prese in mano la situazione.
«Siamo stati fortunati...» disse, tra un boccone e l'altro.
«Riguardo cosa?»
«Ad avere lei, Miss Valentine. Ha talento per il musical, anche se, non so perché, cerca di nasconderlo bene».

Mi strinsi nelle spalle e sorrisi.
«Non tento di nasconderlo... è solo che a volte sono un po' in imbarazzo...» ammisi.
Lui accartocciò l'involucro del panino e si passò un tovagliolo sulle labbra.
Avrei tanto voluto essere io, quel tovagliolo.

«Recitare significa dismettere i nostri stessi panni, per vestire quelli del personaggio da interpretare. Quando saremo su quel palco, non saremo il professor Ruiz e la studentessa Miss Valentine, saremo solo Christian e Satine. Entri nella sua mente, si senta lei, agisca come lei... in quel momento lei è Satine».
Non riuscii a fare a meno di guardare quelle labbra perfette e carnose, articolare lentamente le parole.
«Ci rimettiamo al lavoro?» mi chiese poi, prendendo l'incarto del mio panino ormai finito.
«Sì, certo».

Provammo per ore, ore ed ore. Quando rientrai in camera, era ormai quasi l'alba.
Socchiusi la porta lentamente, per non svegliare Kate, feci aderire le spalle e mi lasciai scivolare fino a sedermi per terra.
Era stata una notte stupenda, magica.
Sarà stato per via del fatto che non dormivo da ormai quasi ventiquattro ore, sarà stata l'adrenalina di aver passato tutto quel tempo con lui ma non riuscivo a togliermi dalla testa quelle sensazioni che si moltiplicavano e crescevano dentro di me, le sue mani su di me e le mie su di lui, era stato così naturale.
Il sudore, le labbra vicinissime, la camicia un po' aperta sul petto, gli scambi intensi e furbi di sguardi. Era stato tutto così inaspettato e sorprendente.

Ero come sotto l'effetto di un incantesimo.
Non vedevo l'ora che arrivasse l'indomani, per poter cantare ancora una volta con lui e sentirmi di nuovo stringere tra le sue braccia.

My First Bitter LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora