Helen Blevis

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Si sentiva bene quella notte: aveva ripreso il gusto nel suo lavoro nonostante nelle ultime settimane non fosse riuscita ad entrare in altri alloggi per cercare qualcosa da “prendere in prestito”, così diceva lei.

Non si sentiva più quel peso sulle spalle. Non doveva preoccuparsi della stanchezza o della fame. L’adrenalina era tornata a scorrerle nelle vene provocandole una costante tensione in tutti i muscoli che, fin dal primo istante in cui aveva messo piede in quella dimora, erano all’erta.

Sì. Si sentiva benissimo.

Aveva cautamente messo un piede davanti all’altro tentando di non produrre alcun suono sul pavimento di marmo, lucido e riflettente come in tutte le altre ville in cui era stata, abbozzando una serie di passi lenti e rigidi.

Magari l’avrebbe sentita qualcuno. Magari una volta ogni tanto qualcuno riusciva ad inseguirla e a starle dietro. Magari qualcuno in quella casa… che ne sapeva lei! Bastava anche un solo bambino con cui poter correre e fare delle dannatissime gare di corsa! Ne aveva bisogno. Voleva la vittoria facile? Ovviamente, ma voleva anche un bravo sfidante. L’avrebbe abbattuto e schiacciato con i suoi rapidi piedi che riuscivano a portarla ovunque.

A questi pensieri, Helen, non faceva altro che sorridere. A stento si tratteneva dalle risate.

Si sentiva un gigante. Poteva fare di tutto.

Una piccola risata le proruppe dalle labbra facendole portare subito le mani alla bocca.

No. Non era quello il momento si doveva concentrare e...

Si piegò di scatto accasciandosi sul pavimento per non ridere.

Rimase in posizione fetale finchè non sentì il freddo penetrarle nella carne attraverso gli stracci che indossava: un paio di pantaloni sudici e pieni di buchi, troppo larghi per la sua vita fin troppo sottile, ed una maglietta costruita grazie a vari pezzi di tessuto di svariati colori annodati alla bell'e meglio oppure, con varie cuciture sparse qua e là.

Di certo, continuava a rammentarsi, stava meglio di altri.

Lei, per lo meno, era libera. Sì, certo, non indossava dei vestiti caldissimi, ma, aveva il vantaggio, di fare quello che voleva. Non era più rinchiusa e poteva benissimo sprigionare la sua energia quando e dove voleva.

Si era girata sul pavimento portando la schiena a contatto con il suolo per rivolgere lo sguardo al soffitto.

Le piaceva stare a guardare tutto quell al di sopra della sua testa: le sembrava di vedere le stesse figure che l'aspettavano guardandola con disgusto e disprezzo verso la sua presona, verso la sua miserabile vita.

Le labbra le si restrinsero nascondendole i denti. Oh… ma lei li avrebbe raggiunti. In un modo o nell'altro lo avrebbe fatto.

Lo scricchiolio dei cardini di una porta che si apriva le raggiunse le orecchie e, la ragazza, si sentì costretta ad alzarsi interrompendo il sottile legame di sguardi con le figure idignate che la guardavano dall'alto al basso.

Si sentì il corpo obbedire perfettamente ai comandi che mandava ai muscoli il suo cervello e in un attimo la sua figura venne coperta e nascosta da un piccolo tavolo alle pareti della stanza.

Quasi per istinto, Helen, portò la mano alla cintura nascosta all'interno dei larghi pantaloni e, quasi immediatamente, i suoi polpastrelli andarono a toccare il freddo rassicurante dell'affilato metallo.

No. Non era quello il suo obbiettivo.

La ragazza si costrinse a chiudere gli occhi concentrandosi sulla respirazione divenuta accellerata in pochi secondi.

E solo in quel momento li sentì. Prima vennero i suoni: erano dei passi rapidi e veloci, quasi frettolosi di andare da qualche parte.

Le sembravano arrivare in contatto con il pavimento seguendo lo stesso tempo, come se ballassero seguendo della musica.

Il battito del cuore le accellerò all'udire quel perfetto tempo. Lo sapeva che, se si fosse messa a correre, quei piedi l'avrebbero seguita e avrebbero trovato una musica su cui ballare con lei.

Ma rimase ancora dietro il mobile.

Aveva appoggiato da poco il palmo della mano sul pavimento pronta per scattare all'inseguimento della preda e, dopo pochi secondi in cui rimase in ascolto continuandosi a ripetersi che avrebbe ascoltato solo per sentire quando l'umano sarebbe andato via e fuori dalla sua portata, delle vibrazioni poco più che impercettibili le arrivarono alla mano salendole il braccio.

Forse era quello che fece trabboccare l'acqua dal vaso oppure la lunghissima assenza di adrenalina nei suoi vasi sanguigni.

Dunque, senza nemmeno rendersene conto, lasciò perdere l'incarico e gli ordini che le erano stati detti e fece scattare i muscoli delle gambe come molle che la fecero quasi volare al centro della sala.

Oh. Che bella sensazione era quella. La ricordava a malapena. Ricordava quanto le piaceva l'aria che le entrava nei polmoni durante una caduta, anche se breve, e quella sensazione alle viscere che pregavano di uscire dal suo corpo.

La ragazza atterrò senza nemmeno un rumore ed attutendo la caduta con il proprio corpo facendo una capovolta e stando attenta a non recidere la sua carne con il pugnale tenuto nella mano sinistra.

Ora ricordava perfettamente che cosa si provasse ad avere stretto nella ano qualcosa di a te caro. Che si adatta perfettamente alla tua stretta, quasi come incollato.

Tutto questo le fece rispuntare un sorriso che mise in mostra tutti i suoi denti.

Con la mano destra si scostò dalla faccia i capelli corvini e sudici portandoseli dietro l'orecchio.

Ecco. Sì. Ora poteva vedere il possessore dei piedi.

Era un uomo di mezz' età alto e magro con la barba folta e curata, le braccia lunghe e snelle come le gambe al di sotto di una divisa da maggiordomo: lo sfidante perfetto.

Helen lo guardò per pochi secondi cercando di cogliere ogni suo dettaglio del viso: aveva tre rughe profonde e ben accentuate sulla fronte da cui se ne formavano altre più piccole e meno evidenti. Il colorito della carnagione era pallido, ma a questo la ragazza non diede importanza ricordandosi il pallore di uomini morti. Forse qua e là, nei pressi del naso, erano presenti alcune traccie di lentighini. La bocca era chiusa e contorta dalla paura. Gli occhi neri erano spalancati e all'erta, come quelli di un gufo.

"Corri"

Era l'unica parola che le uscì dalla bocca prima di aspettare dei secondi per lasciare che l'uomo davanti a lei captasse la parola ed iniziasse a fare come gli era stato richiesto.

Naturalmente, da brava ragazza, gli diede dei secondi in più per arrivare per primo alla porta in fondo alla sala, in quanto, l'uomo era più anziano di lei… no?

SPAZIO AUTRICE

salve gente!!! Mi scuso per non aver aggiornato la storia regolarmente in questo periodo. Mi auguro di aver più tempo per continuare a scrivere e pubblicare i prossimi capitoli! Beh...detto questo spero che vi stiate godendo una tazza di cioccolata nei pressi di una fonte di calore!!! XD

Al prossimo capitolo!!!

-M

Madness - Il canto della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora