Kate Elisabeth Cohen

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Kate fece un sospiro rivolgendo lo sguardo verso il prete, il quale, era intento a porre le domande ai due, secondo lei, poveri sciocchi all'altare. Ormai, si era persa dopo tutte quelle parole, che, già sapeva, non avrebbero cambiato niente della relazione tra i novelli sposi. Il matrimonio, secondo il parere della giovane, era solo una recita molto noiosa e poco credibile.

Il prete continuò con voce monotona e annoiata, come se avesse imparato tutto il discorso a memoria e sapesse già come sarebbe andata a finire. Scocciata, Kate, sbuffò e alzò gli occhi verso i dipinti, realizzati con la tecnica dell'affresco,che rivestivano il soffitto della chiesa di Sant'Elena.

Il suo sguardo venne catturato dalla figura di un vecchio con la barba bianca e con troppi muscoli per i suoi gusti: Dio.

Gli occhi neri scrutavano benevoli la piccola folla di invitati del matrimonio e le braccia, tese in avanti, sembravano quasi abbracciare tutto il mondo.

Cavolate. Dio, secondo la giovane Kate, è solo un'immagine benevola creata dall'uomo per insinuare nella mente dei credenti che il mondo è un posto bello e sicuro, per mascherare la realtà: donne violentate e rese schiave, umani che vengono uccisi e tanto altro. Altro che magnanimo padre era quello! Se fosse veramente esistito e, se avesse avuto dei figli, sicuramente non li avrebbe lasciati in quelle condizioni, in un mondo ingiusto, nella morte e nel dolore. Ecco cosa pensava la giovane, vestita di azzurro e con capelli del colore del grano.

"Kate Elisabeth Cohen!" Disse la donnina accanto alla giovane: zia Rosalind. "Resta concentrata, a breve anche tu sarai sposata. Per lo meno fingiti interessata" la rimproverò la donna sdegnata e costringendola a riportare lo sguardo verso i due, ormai novelli sposi che stavano scendendo dall'altare con passo lento e solenne: lei con un sorriso falso in volto, una mano posta sul braccio del marito e l'altra che correva frenetica sulla collana di perle, la quale, le venne data in dono dalla madre dell'uomo che aveva accanto, poco prima dell'inizio del matrimonio. Quest'ultimo, con fare altezzoso tirò il mento il più in alto possibile, sul viso non presentava nemmeno l'ombra di un sorriso o di felicità.

Ovviamente Kate era cosciente che le sarebbe capitata la stessa sorte anche se avesse seguito il piano di vita stabilito dalla zia: una terribile donna, acida con tutti e spregevole verso le persone sposate più volte, figuriamoci con la gente del popolo, secondo lei, solo i nobili si possono definire "umani" mentre tutti gli altri hanno tanti diritti quanto quelli di un pollo. E nonostante fosse la più bassa nell'edificio, sicuramente era la più temuta. E questo Kate lo sapeva bene.

Ma è a lei che venne affidato il compito, e non alla perfida zia. Kate si prese la collana tra le dita e iniziò a giocarci distrattamente mentre gli sposi le passarono accanto. Non si sforzò nemmeno di fare un sorriso alla povera Alessia, che stringeva ancora nervosamente il braccio del marito. No. Lei non avrebbe sofferto così. Lei è destinata ad altro, è un essere superiore agli uomini e alle donne li presenti, lei ha uno scopo e respira, vive solo per quest'ultimo. La gente iniziò ad uscire dalla struttura e in poco tempo, davanti alla porta d'ingresso, si formò un agglomerato di corpi schiacciati tra di loro. Le labbra le si contorsero quando vide sull'altare una figura risplendente di luce propria guardarla. Le rivolse un sorriso prima di darle le spalle per poi dirigersi verso la porta avanzando leggera sui tacchi.

Nella cappella rimase solo una persona che scrutò la nipote con occhi affamati, bramosi di successo e gloria, ma, sapeva bene, che non li avrebbe ottenuti da una ragazzina timida come Alessia. Le occerreva sempre più e più e lo sapeva bene che da Kate avrebbe ottenuto ciò che voleva, dopotutto era stata lei a plasmarla, a crearla, lei che la fece studiare e lei che la rese la ragazza modello che ogni uomo di Klens desiderava. Per questo motivo sapeva che non l'avrebbe mai abbandonata: senza di lei non sarebbe stata nessuno, o peggio: una contadinella con la pelle secca e scura a causa del troppo lavoro nei campi.

Dopo aver lanciato uno sguardo all'altare e solo dopo aver sorriso vittoriosa, Rosalind se ne andò, a passi piccoli e ben decisi. Era cosciente che dopo la cerimonia, gli ospiti, si sarebbero riuniti per festeggiare, ma c'era del lavoro da sbrigare e si era fatto tardi.

Le campane iniziarono a rintoccare a festa, quasi sembravano felici, allegre per la nuova unione. Tutto l'opposto dello stato d'animo di Kate, che si fermò fuori il luogo sacro ad aspettare la zia fanatica di Dio. Quanto la odiava e la disprezzava, ma sapeva che senza di lei non sarebbe andata da nessuna parte, soprattutto dopo la morte di quasi tutti i familiari.

Ovviamente, l'istinto di scappare e fuggire da tutto era sempre presente in lei, forse sotterrato, ma sempre presente. Fin dall'inizio lo tenne a se stringendovisi e aggrappandovisi, facendolo crescere come un figlio, ogni santissimo giorno.

Lo sapeva. Sapeva che sarebbe fuggita e scappata da tutto e da tutti. Ma non con la coda tra le gambe. Se ne sarebbe andata come un guerriero. Poteva sentire il dolce profumo della libertà nelle narici e la sensazione di potere nelle vene che si diffondeva nel proprio corpo. Sì. Il giorno sarebbe dunque arrivato.

Kate inspirò l'aria fredda della mattinata autunnale che le fece congelare i polmoni. Sì. Presto il mondo sarebbe diventato un luogo migliore. E guardò la zia scendere dai gradini dell'entrata della chiesa. Molto presto.

"Che cosa aspetti Kate? Forza. Andiamo a casa, hai ancora delle lezioni oggi pomeriggio"

Casa. Ha davvero definito quel posto casa. La ragazza chiuse gli occhi per godersi ancora l'aria fredda e pulita dell'esterno, promettendo a se stessa, che quell'aria, sarebbe diventata sua un giorno. Si girò dalla parte della donnina che, intanto, l'aveva superata e s'incamminò al suo fianco, come un bravo cane ubbidiente, ma, la donna, forse non era cosciente che anche i cani hanno le zanne, oppure era troppo sicura di sé per badarci.

Le due giunsero alla villa color panna, preceduta da un immenso giardino con alberi e siepi tagliate a regola d'arte, poco prima che il pranzo venisse servito.

Erano apparecchiati solo due posti, in quanto, tutte e due, persero le persone più care: chi venne ucciso a pugnalate e chi udì un solo sparo prima di cadere a terra morto. Forse, pensò Kate, la solitudine era l'unica cosa che avevano in comune. Erano diverse sia nel carattere, sia nell'aspetto fisico: erano l'una l'opposto dell'altra.

Il pranzo procedette silenzioso e quindi senza nessun dialogo tra le due: di che cosa avrebbero potuto parlare due anime che si odiano a vicenda? Forse del tempo? Della vita? Ma no. Nessuno avrebbe parlato all'altra.

Kate finì per prima ma non si alzò per andare a prepararsi per le lezioni pomeridiane, perché troppo concentrata su che cosa avrebbe potuto fare con la zia. L'avrebbe uccisa? Probabile, ma non sapeva se il suo braccio l'avrebbe fatto, dopotutto, lei voleva ucciderla, ma, quando ci provava, qualcosa la fermava, provava compassione per la vecchia? Oppure era paura? Paura delle conseguenze? Paura di che cosa avrebbe fatto senza di lei. Paura di essere da sola.

Mi serve una squadra

••ATTENZIONE••
copertina a cura di Heroon_S

Madness - Il canto della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora