Harry Dillar

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06

Dannazione! Il vecchio grassone non gli poteva chiedere qualcosa di meno complicato? Ovviamente no!

Mise sul tavolo la tazza bollente dopo aver preso un sorso. La cioccolata calda gli era scesa giù per la gola scottandogliela. Lui, non si mosse. Gli dava così tanto piacere aver la bocca in fiamme che prese un altro sorso della bevanda.

La mano gli tremó quando sentì la porta della locanda sbattere e degli scarponi pesanti iniziarono ad avanzare verso il bancone.

Chi? Chi poteva mai essere? Harry, dopo aver alzato di pochi millimetri la testa e aver puntato gli occhi sull'omone che stava chiedendo una birra, si mise a tremare.

Quanto odiava quella sensazione! Dio! La detestava.

La bocca dello stomaco gli si chiuse in pochi secondi e il sudore gli iniziò ad imperlargli la fronte.

Forse, dopo essere andato dal grassone, doveva dirigersi subito nella sua stanza, dove era al sicuro, dove nessuno gli avrebbe fatto del male. Dove nessuno l'avrebbe trovato.

Ad un tratto Harry si fece rigido come un bastone. E se l'uomo stesse cercando proprio lui? E se... e se gli avesse rivolto la parola? Cosa avrebbe fatto? Che gli avrebbe detto? Sarebbe scappato? Avrebbe urlato?

Questo non lo sapeva. Distolse immediatamente gli occhi in preda all'ansia che lo fece sudare ancora di più. Si tirò la manica della camicia bianca che indossava sulla mano e iniziò a tamponarsi la fronte cercando di capire cosa stesse succedendo.

Che? Che doveva fare? Doveva andarsene? Che avrebbe potuto fare?

Mise la manica impregnata di sudore al suo posto, dopo essersi accorto che non serviva a nulla cercare di asciugarsi la fronte con essa. Che cosa voleva da lui la gente? Che aveva fatto di male? Erano forse venuti da Strancawl? No. Non era possibile. Nessuno lo avrebbe più cercato. Nessuno. Oppure...

Il ragazzo cominciò a picchiettare il dito sul tavolo sentendosi chiudere ancora di più lo stomaco. Poteva essere. Forse non avevano nemmeno trovato i corpi... no. Era impossibile. I corpi li avevano trovati per forza. Ma mancava solo il suo. Erano lì per portarlo con loro dunque? E... se non avessero trovato i cadaveri? E se non li avessero sepolti loro? I suoi familiari lo stavano perseguitando? Forse uno di loro era dietro di lui in quel momento.

Gli occhi iniziarono a schizzargli dovunque, come se le sue orbite oculari fossero uno spazio troppo piccolo che non permetteva la possibilità di movimento. Destra, sinistra, in basso e in alto. Gli mancava soltanto il retro delle orbite.

Il dito continuò a picchiettare sul tavolo in legno aumentando di ritmo. E se si fosse preso una scheggia? Ma che importava? I capelli castani iniziarono ad appiccicarsi sulla fronte del ragazzo il cui incarnato era quasi diventato paonazzo: non riusciva a respirare.

Il giovane aprì un poco la bocca cercando di non dare nell'occhio. Cercò di inspirare ma qualcosa lo bloccava. Qualcosa non permetteva che l'aria gli arrivasse ai polmoni. Che cosa era? E perché a lui?

Harry cercò di aprire di più la bocca, facendo sembrare il gesto il piu simile a uno sbadiglio. Si ripetè a mente che non era niente e che avrebbe risolto. Cercò di inspirare col naso ma niente. Gli occhi gli si chiusero e non vide più.

Gli sembrò di stare sotto l'acqua di un lago nero e profondo. Ma soprattutto freddo. Perché? Perché a me? I polmoni gli iniziarono a bruciare e senza pensarci, fece entrare tutta l'acqua che lo circondava dentro di essi sperando di alleviare il dolore. Stava morendo? Perché? Perché toccava a lui?

Lacrime gli si formarono agli occhi e si dispersero nel liquido che lo circondava.

"Harry" un sussurro. Il ragazzo sentì lo stomaco piegarsi su se stesso, le mani gli presero a tremare e gli venne la pelle d'oca.

Quella voce tanto familiare. Da dove arrivava? Era già morto? Dove si trovava? Perché era lì?

Si accorse di aver tenuto chiusi gli occhi solo quando sentì un tocco leggero e caldo sulla guancia. Non era qualcosa di aggressivo, ma solo un lieve contatto con qualcosa o qualcuno. Ma chi? Gli vennero dei crampi in tutto il corpo.

"Harry. Ricordi? Devi anche respirare. Concentrati. Una cosa alla volta"

Chi poteva essere? Era una voce calma, quasi un sussurro, no. Lo era. Era un sussurro dolce, riservato solo alle persone speciali.

"Ragazzo! Stai bene?" Una pacca gli percosse tutto il corpo a partire dalla schiena. La bocca si aprì subito, bramosa d'aria. Inspirò ed espirò quello che poté e subito il dolore alla cassa toracica svanì. Per sua sfortuna, rimase quello allo stomaco che lo faceva piegare in due.

"Mi senti?" Una voce profonda lo riscosse e pose un fine alla sue ricerca di ossigeno, tanto bramato. Harry lasciò scorrere dei secondi, se non minuti prima di rispondere mandando giù un groppo di saliva.

"Sto bene grazie" disse il ragazzo ancora con gli occhi spalancati e fissi su una venatura del legno. Non capiva. Poco tempo prima quest'ultimi non stavano mai fermi, mentre in quel momento non li riusciva più a distogliere dal tavolo.  Che doveva fare? Niente. Non avrebbe fatto niente. Era semplice.

Sentì un grugnito e dei passi diretti verso il bancone. Solo in quel momento si afflosciò sul tavolo mettendosi le mani al collo e massaggiando a più non posso: aveva delle lunghe strisce rosse su di esso, come se qualcuno avesse provato a scavarvisi e oltre al collo, si sentiva stanco, i muscoli gli dolevano come non mai e gli faceva male la lingua, impregnata di un liquido con il sapore di ferro. Non se ne preoccupò molto, essendoci abituato.

Ci era abituato sì. Il problema erano le immagini. O i ricordi. Forse... fantasmi? Non lo sapeva come chiamarli. Non era in grado di prevedere quando sarebbe successo. In pratica, sapeva solo quando stava iniziando.

Pochi minuti dopo, il ragazzo si mise composto e, come se nulla fosse, iniziò ancora a sorseggiare dalla tazza la bevanda calda dalla quale, ormai, non si libravano più le strane forme di vapore caldo.

Una mano vecchia e cicciottella si alzò cercando  il contatto con la sua.
"Il tuo nome ragazzo?"
La mano, oltre a essere piena di macchie che segnavano l'età, era la mano più morbida che avesse stretto. Qualcosa dentro di lui si accese e, il ragazzo, non seppe dare nome alle emozioni negative che provò dentro di sè. Lo disgustava il fatto che quell'uomo marcio non avesse mai lavorato.
"Dillar, signore. Harry Dillar" e solo in quel momento il giovane si concesse il lusso di guardare il datore di lavoro in faccia: una faccia rotonda e grassa, con guance e naso a patata rosse.
Lo odiò con tutto il cuore.

Madness - Il canto della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora