Clemar

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Aveva la pelle d'oca. Li sentiva posare il loro sguardo sulla sua figura, li sentiva bramare sangue, il suo sangue. Li sentiva ridere sguaiatamente, li immaginava brindare con calici luccicanti che proiettavano fasci rossi sul pavimento. Vedeva le loro zanne spuntare dalle fauci e i loro artigli affilati che stringevano i contenitori del liquido carminio.

Che cosa volevano?

Il sottilissimo filo dei suoi pensieri venne interrotto quando, le sue orecchie, cominciarono a percepire i veri suoni del mondo fuori dalla sua stanza.

Sentiva le grida dei marinai che sbraitavano ordini e incoraggiamenti misti ad insulti arricchiti dai vari accenti tipici delle zone Kohari, definite anche le terre più popolate e povere, dove regnava e regna tutt'ora l'anarchia assoluta.

Il ragazzo si tappò le orecchie, col tentativo di respingere tutti quegli stupidi rumori mal assortiti che gli iniziarono a rimbombare nella testa.

Come potevano delle bocche umane emettere quei disgustosi suoni?

Si continuava a premere le mani ai lati della testa, quando, rosso per la rabbia, che gli era cresciuta a dismisura nel petto, si diresse verso la porta digrignando i denti.

Aveva udito dei sonori tonfi provenire all'infuori di essa, i quali avevano attivato tutto il rancore e l'ansia che soffocava all'interno del suo corpo.

Mai e poi mai avrebbe pensato che qualcuno stesse per invadere i suoi spazi. Ovviamente sapeva che quella era solo una delle cabine della nave, ma era comunque un luogo sicuro per lui.

Si poteva definire una tana provvisoria.

Il bussare non si fermò, finché Vincent non abbassò la maniglia per poi tirarla verso di sè.

Il ragazzo, codardo com'era, sbiancò di colpo. Se prima faceva quasi invidia a un pomodoro, lì, davanti a quella porta, assomigliava sempre più a delle lenzuola.

Si sentiva quasi cedere le ginocchia per i continui tremolii che si dissipavano lungo tutto il suo corpo.

Aveva davanti un uomo alto e dalla pelle color ambra, solcata da qualche ruga sulla fronte e ai lati degli occhi, i quali sembravano due smeraldi immersi in un bianco con venature rosse.

Lo vedeva arricciare il naso con la sua aria da spaccone mentre masticava delle foglie di qāt: un'arbusto coltivato nei territori dell'estremo sud Kohari, il quale viene usato dai lavoratori per opprimere la stanchezza.

L'uomo aveva masticato ancora per vari secondi, nei quali fece scorrere il suo sguardo lungo la figura di Vincent, che si limitava a stare ritto sulla soglia della porta.

"A momenti entreremo in porto"

Lo disse quasi con noia e disinvoltura, stringendo gli occhi, per poi continuare a lavorare la pianta che aveva in bocca, mentre se ne andava a passi lunghi e lenti, provocando tonfi ogni volta che il tallone arrivava alle assi del pavimento.

Il ragazzo, rimase fermo e immobile, finché non sentì più il camminare dell'uomo e il ciondolare del ferro che lo seguiva.

Gli metteva terrore come un umano poteva ridursi solo per dei soldi: dipendente da qualche tipo di droga, con la schiena spezzata e con delle occhiaie violacee sotto gli occhi che diventavano, giorno dopo giorno, sempre più quelli di un demone, arrivando a tingersi completamente di rosso.

Una volta rientrato in tutta fretta, dopo aver chiuso la porta facendola sbattere troppo violentemente, prese tutti i suoi averi, tra i quali il violino, e iniziò ad incamminarsi verso il corridoio della sottocoperta della grande nave.

Madness - Il canto della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora