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Non appena finimmo quella imbarazzante colazione, Jacob si alzò dal tavolo facendomi segno di seguirlo con la mano.
"Indossa questi. Dentro c'è anche il tuo telefono" mi porse una busta che immaginai contenere dei vestiti. "Poi andremo a casa tua".

La afferrai, e gli rivolsi uno sguardo di dubbio prima di salire le scale che portavano alla sua stanza.
"No. Non entrerò in casa, se è questo che ti stai chiedendo" parlò con voce severa. Mi bloccai nei miei passi, sorprendendomi del fatto che avesse capito un'altra volta cosa mi passava per la testa.
Annuii senza neppure voltarmi.

Arrivai nella camera e mi limitai ad accostare la porta, poi mi sfilai la maglietta in seta della sera prima. Con un gesto rapido infilai il nuovo cambio e, senza esitare oltre, raggiunsi Jacob al piano di sotto.
Non volevo farlo aspettare.
Non volevo un'altra sua reazione improvvisa.
Non volevo sentirmi di nuovo annullata da lui.

Lo osservai dare ordini ai suoi uomini. Erano più adulti, alcuni anche più grossi, eppure potevo notare come loro fossero intimoriti da quell'uomo. Forse tanto quanto lo ero io.
Ovunque si trovasse, chiunque avesse davanti, era Jacob a regnare. La sua figura scura e imponente era dominante su tutte le altre. I suoi occhi potevano ridurre in cenere qualsiasi cosa su cui si posassero.
Lui era un dannato re. Aveva tutto e tutti ai suoi piedi. Eppure nei suoi occhi, nel modo in cui talvolta mi toccava, io ci leggevo altro.
Disperazione, tristezza, implorazione.
Era come se gridasse aiuto. Come se ne avesse infinitamente bisogno, ma non riuscisse a farsi sentire. Come se odiasse tutto ciò che era, tutto ciò che aveva, ma non riuscisse a cambiare.
Forse era molto più debole di quando desse a vedere.

"Eccoti" disse quando mi vide sulla punta delle scale. "Andiamo" mi cinse il braccio dopo avermi raggiunta, per poi camminare con passo svelto fuori dalla casa.

Nel cortile v'era una grande macchina nera con un uomo già seduto nel posto del guidatore.
Jacob aprì la portiera e mi fece segno di entrare, lasciandomi finalmente il braccio libero. Così feci e, qualche istante dopo che anche lui era entrato, la macchina partì.

Posai le mani sulle mie cosce, afferrando i bordi della felpa grigia che avevo indosso, per poi stringerli istericamente tra le dita. Provavo un profondo senso di ansia all'idea di rivedere la mia famiglia, ed ero sicura che non sarei stata accolta in modo per nulla caloroso.
E, ad essere sincera, io stessa mi sentivo in colpa. Se fossi stata davvero in pericolo, derubata o sul punto di morire, forse avrei avuto una scusa.
Ma non era così, per quanto Jacob fosse imprevedibile e minaccioso, avevo iniziato a credere che non mi avrebbe fatto del male. Non se io mi fossi attenuta alle sue regole.
Avevo passato l'ultima notte in una casa maestosa, avevo fatto colazione con i cibi più prelibati. Mentre i miei fratellini avevo sicuramente dovuto accontentarsi di cereali sotto marca e yogurt scaduto.
E mia madre.
Non sapevo neppure se fosse ancora viva. O magari negli ultimi due giorni era migliorata, ed io me lo ero perso.
Io non c'ero stata.

"Non sgualcire la maglietta, Lily". Mi ammonì Jacob, riportandomi con i piedi per terra.
Mi voltai verso di lui, venendo accolta da quei suoi occhi verdi e incantatori. Diminuii la pressione sui bordi della maglia, senza però riuscire a liberarmi dal suo sguardo.

"Sei agitata" la sua voce ruvida risuonò all'interno della macchina, facendomi scuotere nervosamente il capo.
"N-no, non lo so" sussurrai con un filo di voce, stringendo i miei occhi nei suoi.
"Non era una domanda, piccola" sebbene i lati della sua bocca si alzarono di poco, il tono della sua voce lo fece apparire serio e severo come al solito.
Scossi la testa, portando gli occhi sulle mie mani piccole e tremolanti. Lo sentii ridere leggermente al mio gesto irresoluto.
Chiusi gli occhi e mi decisi a non aprirli fino alla fine del viaggio.

Tra Quiete e Tempesta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora