5.

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Rimasi pietrificata, immobile.
Il sangue mi ribolliva nelle vene. Ero così arrabbiata con me stessa. Per non aver seguito il mio istinto ed essere uscita comunque quella sera, per aver perso di vista la mia amica ed essermi ritrovata da sola.
Ero arrabbiata e basta.

Ed era colpa mia.
Avevo deciso di fregarmene, per una sera, di tutte le responsabilità che da anni gravavano sulle mie spalle, di tutto il male di cui la mia vita era dipinta da quando ne avevo memoria. Avevo deciso di pensare a me stessa, e non a mia madre morente, ai miei fratellini lasciati a loro stessi, e neppure a mio padre.
E quelle erano le conseguenze.

"Ora andiamo" disse per poi stringere le sue dita attorno al mio braccio nudo, non tanto forte da farmi male, ma abbastanza da provocarmi un brivido lungo la schiena.
Non ebbi neanche il tempo di esitare, che lui mi spinse sgarbatamente fuori dalla porta, dove ci stavano aspettando gli uomini di poco prima.
Uno di loro estrasse dalla fibbia dei pantaloni una pistola, tolse la sicura e poi me la puntò alla testa. Capii che dovevo fare tutto quello che mi ordinavano e alla svelta.

Arrivammo davanti ad una grande macchina nera, che era seguita da altre tre identiche.
"Sali" ringhiò un altro degli uomini, aprendo la portiera del posto del passeggero. Lo feci senza alcuna esitazione.
In pochi secondi lui, Jacob, fu seduto di fianco a me, inserì prontamente le chiavi per poi fare ringhiare il motore, provocando un rumore tanto forte da farmi strizzare gli occhi di poco.
Rise, probabilmente trovando il mio gesto ridicolo. Serrò le portiere della macchina, cosicché io non potessi provare a scappare. Poi partì.

Il viaggio fu lungo e silenzioso. Avevo timore anche solo a respirare, a fare entrare l'aria nei polmoni troppo sonoramente. Avevo paura di distruggere quel vuoto che si era sparso attorno a noi, perché non avevo idea di quali sarebbero state le conseguenze.
" Stiamo per passare davanti ad un posto di blocco" disse d'un tratto con voce bassa e severa. "Fai la brava, o te ne faccio pentire" girò il volto nella mia direzione, puntando i suoi occhi verdoni nei miei. Lì dentro non ci vidi nulla, nessuna emozione, nessun frammento di anima, soltanto il mio riflesso terrorizzato. E bastò questo a farmi sentire violata, a farmi provare un insopportabile senso di soggezione. Come se fossi stata lì nuda, inerme, un nulla intrappolato sotto il suo sguardo, completamente assoggettato al suo volere.
Annuii.
Nutrivo, nella parte più profonda di me, il desiderio di provare a scappare, di chiedere aiuto. Volevo approfittare di una situazione che non sapevo se si sarebbe mai ripresentata.
E non avevo paura, non temevo nulla. Almeno per me stessa.
Ma lui conosceva il mio nome e, sicuramente, conosceva molto altro. Ed io, tra il rinunciare alla  mia libertà e il rischiare di mettere in pericolo la mia famiglia, avrei sempre scelto di  sacrificare me stessa.
Dunque rimasi ferma, immobile e rannicchiata sulle ginocchia. Mentre mi allontanavo sempre di più da ciò che mi era noto, ed andavo in contro alla mia fine.

Passarono delle ore, a mio avviso interminabili. Attraversammo, da dentro quella macchina, ogni tipo di paesaggio. Prima il mare, la montagna, poi la città e, per qualche miglia, dei luoghi quasi desertici.

"Siamo arrivati a casa, piccola" parlò all'improvviso, proprio nel momento in cui stavo per chiudere i miei occhi stanchi e pesanti. Sussultai, per poi voltarmi verso la sua figura sicura e beffarda. Guardai fuori dal finestrino oscurato, ed una sensazione di calore mi invase il petto, ma non era nulla di positivo. Il respiro si era fatto corto, mentre gli occhi iniziarono a pizzicarmi.
Quella era Londra.

"I-io" farfugliai, senza neppure sapere cosa dire.
"Non è ancora il momento di parlare" mi bloccò ancora prima che riuscissi a dare voce ai miei pensieri. Il suo tono duro, quasi feroce, mi indusse a rimettermi composta sul mio sedile.
Ma la rabbia e la disperazione erano tante. Non avevo mai provato una sensazione di tale confusione. Ed io non mi ero mai sentita così inutile in tutta la mia vita. Lui mi aveva annullata.
Perché eravamo tornati a Londra? Perché lui mi aveva seguita fino a così lontano, per poi tornare indietro?

Arrivammo davanti ad un cancello nero, sul quale erano incise le iniziali JRO, in un colore dorato e pavoneggiante.
Si aprì non appena lui ebbe posato il proprio indice su un lettore che si trovava sul lato sinistro.
Percorremmo un lungo giardino, perfettamente tenuto, per poi giungere all'entrata di una casa che sprizzava sfarzo da tutti i suoi angoli.
Era bianca, circondata completamente da delle arcate marmoree dalle quali si arrivava alla porta di ingresso ad esse abbinata.
"Scendi!" mi ordinò per poi aprire la sua portiera e uscire dalla macchina. Feci lo stesso.
Non appena posai il piede sul cemento, la sua mano grande e ruvida mi cinse il braccio.
"Ora entriamo" si incamminò a passo spedito verso l'entrata, obbligandomi a seguirlo.
Uno dei suoi uomini aprì la porta e si mise di lato per farci entrare.
Davanti ai miei occhi sorse un enorme soggiorno decorato nei minimi dettagli. Le pareti bianche risaltavano il nero corvino del parquet e dei mobili che decoravano la stanza.
"Soli!" Ringhiò Jacob agli uomini alle mie spalle, che subito uscirono dalla casa chiudendo la porta.

Rimasi immobile al centro della stanza, mentre fissavo la sua figura che lentamente si avvicinava a me, facendomi temere ad ogni centimetro bruciato sempre di più per la mia vita.
"Siediti!" Indicò il divano in pelle nera che si trovava nel lato destro della stanza.
Con esitazione obbedii alle sue parole, stringendo più forte che potevo i pugni, tanto che le mie nocche andavano a fuoco.
Lui si posizionò proprio di fronte a me, rimase in piedi ed io mi sentii così piccola, completamente sormontata dalla sua figura.
Puntò quegli occhi impenetrabili su di me, incrociò le braccia al petto per poi serrare la mascella. Il suo viso divenne, se possibile, ancora più duro e il suo sguardo si fece più tetro.

"Chiedi!" Pronunciò con un tono più alto di quanto mi aspettassi. Aggrottai la fronte.
"Chiedi quello che vuoi sapere. Ora. Non avrai un'altra possibilità" scandii ogni singola parola, e fu tremendamente chiaro.
Deglutii in modo rumoroso, cercando di fare ordine nei miei pensieri.
"P-perché sono qui?" Non ebbi, come ovvio, il coraggio di spostare lo sguardo dalla punta delle mie scarpe.
"Mi devi guardare!" Dispose con tono severo, ed io rabbrividii.
Alzai la testa, posando timidamente gli occhi sul suo volto freddo.
"Ora ripeti, con più convinzione" inspirai in modo profondo, riempiendo i miei polmoni di più aria possibile.
"Perché sono qui? Ripetei mentre mi torturavo le mani, sfogandovi tutta la tensione che avevo in corpo in quel momento.
Rise.
"Tu Lily, sei qui perché quel gran farabutto di Mason Hunt ti voleva" spiegò "Ed io ottengo sempre tutto quello che lui vuole, cosicché non lo possa avere".
Le sue parole non mi risolsero neppure un dubbio. Anzi, ero ancora più incerta di quale sarebbe stato il mio destino.
"E-e cosa vuoi farne di me?" Trovai il coraggio di puntare i miei occhi nei suoi, sempre gelidi e vuoti.
Rise ancora, mentre io mi sentivo instabile come sul punto più alto di un precipizio, pochi istanti prima della caduta.
Si leccò lentamente il labbro superiore, per poi muovere pochi e lunghi passi verso di me. Si fermò a pochi centimetri da mio viso, e abbassò il busto portando i suoi occhi alla mia altezza. Era così vicino che sentivo il suo respiro cadere spietatamente sulla pelle delle mie guance, che intanto si stavano tingendo di un colore rosso imbarazzo.
"Tutto quello che voglio".


spazi autrice
Buona seraa
Finalmente sono riuscita ad aggiornare, mi scuso per il ritardo.
So che questo capitolo è un po' più corto del solito, ma è solo di passaggio.
Presto entreremo nel vivo della storia, ed io non vedo l'ora!

Se lasciaste un commento e una stellina mi farebbe davvero molto piacere.
Così capisco se la storia vi piace o meno ♥︎♥︎
Bacini
Alla prossima ♥︎☾

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