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Il viaggio verso la mia imminente ed inevitabile fine durò un tempo che mi sembrò interminabile. Ed io strinsi i pugni per tutta la sua durata, tanto da procurarmi dei leggeri tagli sul palmo delle mani.

Guardai fuori dal finestrino oscurato sperando di riuscire a riconoscere il luogo in cui mi trovavo, ma nulla di quello che vedevo mi era familiare.
Quei palazzi, quei negozi, e addirittura quel cielo non avevano niente a che fare con il luogo che fino a quel momento era stato la mia casa.

Girai la testa verso la ragazza ancora sconosciuta, che sedeva alla mia destra con aria di certo più serena e placida della mia. Forse aveva già vissuto di peggio, pensai, o forse era solo un invidiabile sangue freddo. Lei mi rivolse uno sguardo rassicurante, come se sapesse che, a differenza sua, io ero a dir poco terrorizzata. Ero sicura che temesse che da un momento all'altro avrei dato di matto, scatenando la rovinosa ira dei nostri rapitori.

"Catalina" disse con tono quasi impercettibile. Aggrottai la fronte.
"Mi chiamo Catalina" ripeté facendo attenzione a non farsi sentire dagli uomini seduti davanti a noi. "E tu non devi avere paura" sorrise, e quello fu sicuramente uno dei sorrisi più dolci che io avessi mai ricevuto.
Posò la sua mano sinistra sulla mia, per poi stringerla in una presa rasserenante.
I brividi che fino a quel momento mi stavano percorrendo il corpo si fecero più deboli, ed io fui subito immensamente grata di non essere capitata da sola in quel tremendo incubo.
"Sono Lily" le bisbigliai, stringendo a mia volta la sua mano alla mia.

"Silenzio lì dietro!" dispose l'uomo seduto al posto del passeggero. Si voltò estraendo dalla fibbia dei pantaloni una pistola di un nero gelido e tetro. La sua voce era così truce da farmi mancare il respiro ogni volta.

"Ya casi estamos allí" gli comunicò l'altro, svoltando per un vicolo isolato. Non capii di preciso cosa gli avesse detto, ma quando l'auto entrò dentro un parcheggio sotterraneo per poi improvvisamente fermarsi, rilevai la natura delle sue parole. Eravamo arrivate al capolinea, al triste e pietoso epilogo della mia breve vita.

"Bajen los dos!" ordinò l'uomo che fino a quel momento stava guidando, aprì la portiera e scese dalla macchina sbattendola ferocemente. Mi voltai esitante verso Catalina.
"Scendi" sussurrò seguendo uno dei due estranei verso una porta alla fine del grande spiazzo vuoto.
Feci lo stesso.
"Camina!" il mio rapitore mi spinse verso gli altri due, appoggiando la pistola gelida al centro della mia schiena.

"Carlos, llama al feje" l'uomo dietro di me ordinò all'altro, quello leggermente più basso e con il corpo quasi del tutto ricoperto di tatuaggi. Aveva un'enorme cicatrice sul lato destro del volto, che era così rosseggiante da farmi credere che se la fosse appena procurata.
"Subito Enrique".
Lui tirò fuori senza indugio il telefono dalla testa anteriore dei suoi pantaloni, compose  frettolosamente un numero, per poi portarselo all'orecchio.
"Estamos aquí" comunicò al suo interlocutore dopo pochi secondi d'attesa.

Qualche istante e la porta difronte a noi si spalancò, facendo apparire ai miei occhi una figura maschile imponente e, se possibile, ancora più temibile delle altre due. L'uomo non disse niente, ma ci fece segno di entrare. Mi ritrovai i un corridoio buio e tetro, l'aria era talmente viziata da non permettermi di fare neppure un respiro accennato. Svoltato l'angolo sorse un'altra porta, davanti alla quale vigilava un ulteriore uomo, questa volta molto più basso e dai tratti meno duri. Anche lui impugnava un'arma, ammetto con estrema fierezza e padronanza. Riservò un segno veloce del capo ai suoi compagni e si spostò nell'angolo per farci passare.
La tachicardia era a mille.

"A destra" dispose il terzo sconosciuto con accento marcatamente straniero.
Catalina fece come detto, ed io le andai subito dietro, rimanendo attonita dalla scena che mi apparve davanti agli occhi.

Tra Quiete e Tempesta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora