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Anna
01/10/2018

Cercai di raggiungere mio zio a corsa: l'avevo visto in lontananza mentre tornavo da scuola e non potevo proprio lasciarlo "scappare" senza salutarlo, e senza chiedergli se c'erano lettere da parte di Gioia. Dovevo ammettere che mi stavo già affezionando a quella ragazza.

- Anna! -
- Ehi – dissi io fermandomi col fiatone. Mi piegai appoggiando le braccia alle ginocchia per riprendere fiato.
- Tutta questa corsa solo per me? – cavolo, spiritoso come il figlio.
- Esattamente! – spiritosa come la madre.
- Volevo chiederti... hai una lettera per me? –
- Ho capito dove vuoi arrivare... ma dimmi: com'è andata l'ultima volta? – mi stuzzicò lui. Inutile dire che era totalmente uguale a Davide.
- Zio ti prego! Dimmi se hai una lettera! – lo supplicai.
- Tu raccontami, ed io ti darò informazioni. – a volte odiavo mio zio.
- Ok... - sbuffai. – Allora, Gioia mi ha scritto la prima lettera, e devo dire che ha un certo cervello! Sembra molto simpatica e ha voglia di parlare con me. Il che sembra fantastico: insomma, non mi ha neanche vista e già vuole approfondire questa... "amicizia"...? Se può essere chiamata così. – dissi tutto d'un fiato.
- Mmh, questa storia di amicizia ha ben poco... - sorrise malizioso lui.
- Oddio no! Non mettertici pure tu! Tuo figlio non mi dà tregua con questa storia! –
- È mio figlio per un motivo! – rise lui.
- Si... come se non mi fossi accorta di quanto siete identici! -
Dopo aver riso insieme, Antonio iniziò a rufolare dentro il suo portalettere. Mi si illuminarono gli occhi: significava che aveva qualcosa per me! Il nome di Gioia iniziò a svolazzare nella mia testa come mille farfalle azzurre. Potevo vedere chiaramente la sua calligrafia tondeggiante, così ordinata nei suoi particolari.
- Questa... è per te! – mi disse mio zio porgendomi una lettera in mano.
Io la presi con le mani tremanti: tutto questo mi faceva sempre un certo effetto. Girai la lettera sul retro e vidi scritto il suo nome: era lei! La mia mascella cedette solo un pochino, devo ammettere che mi era mancata una Sua lettera.
- Credevi che non fosse lei? – chiese lui innocentemente.
- E-eh? – risposi tornando alla realtà.
- Ho detto... credevi che non fosse lei? –
- Oh... volevo solo esserne totalmente sicura! – mi giustificai.
- Anna cara, se resterete solo amiche significa che la mia vita è una bugia! -
- Ma smettila! -
Gli diedi una pacca sulla spalla, poi lo salutai e presi l'ascensore. Continuavo a rigirarmi quella lettera fra le mani, continuavo a rileggere il suo nome. "Gioia Costa... Gioia Costa... Gioia Costa..." nella mia testa sentivo solo questo. Suonava così bene!

Arrivai dentro casa e, veloce come il vento, presi un coltello ed aprii la busta.

Ciao Anna!
Beh, ciao di nuovo!

Mi fa piacere avere la possibilità di scriverti di nuovo: è molto divertente poter parlare con qualcuno...

Cavolo! Quindi Gioia era sola...

Io purtroppo non conosco i miei cugini: quelli kenyani non so neanche se esistono, invece i romani non li ho mai visti. Almeno so che da qualche parte ci sono. Quanto a mia madre, non abbiamo un bel rapporto, forse neanche un rapporto. Non so se con Eva sia meglio o peggio.
Ma, tornando a noi, mi avevi chiesto della chitarra! Beh, certo che mi fa piacere parlartene! Quando ero piccola, avrò avuto 8 o 9 anni, mia madre -super cristiana, per l'appunto- mi disse che dovevo iniziare a suonare nel coro della Chiesa, perché a Dio non piacevano le bambine che non si impegnavano nella comunità. Detto fra me e te, a me non è mai piaciuto frequentare la Chiesa, non ho mai creduto in Dio, e ho un sacco di teorie che nessuno capisce mai su questo argomento: se vuoi posso parlartene. Dicevo, a me non piaceva andare in Chiesa, né tantomeno suonare: non sono proprio il perfetto modello di ragazza estroversa.
Ma mia madre continuava a farmi il lavaggio del cervello con questa storia, ed io che ho un carattere facilmente influenzabile, alla fine mi feci convincere. Quindi una domenica mattina me ne andai titubante dal parroco per raccontargli questa faccenda. Lui si abbassò alla mia altezza e mi disse che non era vero che a Gesù non piacevano i bambini che non si impegnavano nella comunità, perché Lui amava proprio tutti. Sapevo benissimo che mia madre si sarebbe arrabbiata, per questo gli dissi che volevo comunque suonare. Quel parroco, che se non ricordo male si chiamava Don Corrado, si accorse subito che non era quello che volevo: quell'anziano ometto basso era in grado di capire sempre tutti, ed è sempre stato gentile e cordiale con me. In realtà andavo in Chiesa solo per lui: da bambina avevo paura dei preti, ma lui mi ha fatta sentire a casa, mi ha fatto da padre, quando quello naturale non c'è stato.
Dicevo, lui si rese conto che non era esattamente quello che volevo, nonostante ciò mi fece un sorrisetto e si spostò in una piccola stanzina dicendo che aveva qualcosa per me. Tornò indietro con una chitarra in mano. Era leggermente più grande rispetto alla dimensione che avrei dovuto avere, per questo dalla mia prospettiva sembrava enorme! Mi innamorai subito: corsi incontro al prete e gli dissi tutta contenta che volevo suonarla. Lui mi chiese se volessi una misura più piccola, ma io risposi tutta convinta di voler suonare quella. Imparai senza grandi sforzi, e andavo a Messa semplicemente per suonare: non mi interessava più se lo facessi nel coro, la chitarra mi metteva a mio agio, così eravamo felici sia io che mia madre. Ma crescere sarebbe toccato anche a me, per questo quando arrivai a compiere tredici anni, mi resi conto che gli ideali della Chiesa non combaciavano neanche lontanamente con i miei, così smisi di andarci, ma mi rimase la chitarra. Me la regalò il prete, che fin da quando ero bambina sapeva che non mi piaceva andare tutte le domeniche a Messa e che non ho mai creduto in Dio. Quindi fu lui a regalarmi la chitarra, dicendomi che avevo un grande talento, e che quello strumento in particolare ormai portava il mio nome.
Quella piccola chitarrina ce l'ho ancora, ma ovviamente è diventata troppo piccola per me. Un annetto fa ottenni da mia madre il permesso di comprarne un'altra, e la suono ogni volta che ne ho bisogno, perché in effetti è una gran parte di tutto quello di cui necessito. Le musiche me le scrivo da sola, ma non mi resta difficile, è solo questione di imparare dove scrivere i suoni, e poi il resto mi viene direttamente dal cuore. Mi basta concentrarmi su quello che provo e la mia mano è come se prendesse vita, insomma, non la controllo più. Ed è un bene, perché le cose che produco con la testa non sembrano profonde come quelle che scrivo con il cuore...

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