-Nico-

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Essere mangiati dai grifoni NON faceva parte del mio piano.

Le bestie ci guardarono per un po', forse chiedendosi se fossimo il loro pranzo o i nuovi giochini da masticare.

Non avevamo nessun arma e, se anche fosse, ci servivano per arrivare a Los Angeles.

Mi mossi piano verso di loro.
- no - sussurrò Emily.
Allungai la mano verso il primo grifone che mi capitò a tiro.

E quello provò a mordermi.

Grazie agli dei la mia amica aveva i riflessi pronti.
Mi tirò indietro appena in tempo.

Ma il mostro non si arrese così facilmente; si slanciò in avanti, con gli artigli sguainati.
Lo schivai per un pelo.

Lui ricaricò, mentre il suo amico teneva impegnata Emily.
Questa volta mi fece un taglio sul fianco, non era profondo ma non resistevo molto bene al dolore.

Mi atterrò. Il suo becco mi annusava, forse per vedere se ero gustoso. Il suo alito sapeva di pesce andato a male.

Poi, quando credevo di essere spacciato, sentii un grido stridente.

Sia io che il grifone ci girammo verso la fonte. La figlia di Thanatos (non so come) era riuscita a mettersi a cavalcioni sul mostro.

La brutta notizia?
Il grifone era peggio di un toro da rodeo.

Capii il suo piano.
Mentre Alito di Pesce era ancora distratto, io sgusciai via dalla sua stretta e salii sulla sua groppa (non è così facile come ve lo descrivo).

Quello imitò il compagno e in pochi secondi ci ritrovammo in una strana danza irlandese con tanto di cavalleria.

Emily strattonò il suo grifone che andò a sbattere sulla porta d'accesso. Anch'io spronai il mostro in quella direzione.

Funzionò a meraviglia.

La mia cavalcatura tirò un calcio all'uscita, ma il problema è che gli rimase incastrata la porta nella zampa.

Ci librammo nel cielo.
Tentai di staccare la "piccola" cavigliera che ci eravamo procurati, ma è difficile quando, chi vuoi aiutare, tenta di staccarti la testa a morsi.

Dietro di me la mia amica non se la passava meglio. Il grifone che cavalcava continuava a fare giri della morte nel cielo tentando di scrollarsela di dosso.

Mi avvicinai all'orecchio mostro.
- tranquillo, ora sei libero - dissi - dacci un piccolo passaggio e poi ognuno andrà per la sua strada -
Non sapevo se mi sentiva (o capiva la mia lingua), ma si calmò e io riuscii a liberarlo di quel peso.

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Passata un'ora si erano calmati.
Io e Emily volavamo fianco a fianco.

- per fortuna siamo piccoli, se no non riusciva a reggermi Artur - disse.
- Artur? - chiesi.
- gli ho dato un nome, non ti piace? -
- no, è che... come sai che è maschio? -
- si vedeva - rispose.
- e il mio invece? - domandai.
- vuoi controllare? - mi sorrise.
- passo -  borbottai.

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Era notte fonda quando atterrammo a Phoenix.

E Artur e Tormenta erano esausti (ho deciso di dargli un nome impari).

Scendemmo dai grifoni, che crollarono a terra, esausti.
Non mi piaceva forzarli in quel modo, ma se volevamo lasciarli andare prima dovevamo raggiungere gli Inferi.

Mi guardai attorno, in cerca di eventuali minacce.

Eravamo in un parcheggio di un ristorante; sono dislessico, ma riuscii lo stesso a notare la grossa M gialla che ci illuminava.
Affianco c'era un Motel.

- perfetto. avevo voglia di un cheeseburger - disse Emily.

- che? - domandai confuso.
- un cheeseburger. non dirmi che non ne hai mai provato uno. ci sono catene di fast food in tutto il Paese -

Non la seguivo.

Notò la mia espressione interrogativa.
- Nico? - mi chiamò - non sai cos'è un fast food? -
Scossi la testa.

- ci sono anche in Italia. non ne hai mai visto uno? -
Scossi la testa di nuovo, ma più per scacciare la confusione che mi trapanava la testa.

- tutto ok, Nico? - mi chiese Emily.
- io... si... ho solo.... - biascicai.

Era come se la risposta fosse davanti a me, ma ci fosse qualcosa che mi ricacciasse indietro ogni volta che provavo ad avvicinarmi.

La mia amica ora era preoccupata.
- Nico? Sai che cos'è, emmm.. un videogioco? -
- no - dissi abilito.

- Nico, in che anno sei nato? -
- non mi ricordo bene, 1932? -

Lei rimase immobile per qualche secondo.
Poi mi indicò un cartello elettronico pubblicitario lì vicino.

Mi sforzai di leggere, la data era 1/02/2007.

Non era possibile.

Per un'infinità di minuti non riuscii a pensare a niente.
Vedevo solo quei numeri.
Qualcuno mi mise una mano sulla spalla.

Forse Emily.
Mi sentii stringere in un abbraccio.
Era meglio delle parole.
Anche perché non credo che riuscirei più ad usarle.

Io e mia sorella...

No.
Non era possibile.
Non era scientificamente possibile.

Eppure...

Il tempo prima di Casinò Lotus era sfuocato.

Ma non potevano essere passati settant'anni così velocemente, giusto? GIUSTO?!?!

Mi sembrava di star per esplodere.
Era troppo. Tutto. Non riuscivo a contenerlo.

Le aiuole attorno a noi erano appassite, il terreno era pieno di  crepe, come qualcosa spingesse da sotto.

Volevo buttare fuori tutto urlando al cielo, ma l'unica cosa che mi usciva era un fiume di lacrime.

Mi ero sempre sentivo fragile, fatto di vetro.
Ora quel vetro si era spaccato, in mille pezzettini.
E io non sapevo a che pezzo aggrapparmi.

Una voce interruppe questo momento.
- bene, bene. cosa abbiamo qui, Paul? piccoli semidei indifesi-

Spazio alla semidea,
¡Hola mi chicos!
Ho messo 2007 perché è la data di pubblicazione di Percy Jackson e la maledizione del titano. Spero che vi vada bene. Ci vediamo domani con un altro capitolo!!
Adios

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