VI

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Con il cuore che sanguinava, rimasi immobile a guardarla mentre si allontanava da me, ma oltre a quella sofferenza indicibile, più di ogni altra cosa, non sopportavo di averla ferita.

L'avevo illusa con il mio stupido comportamento: ai suoi occhi ero l'eroe che le aveva salvato la vita, che le aveva regalato degli abiti preziosi, che l'aveva guardata profondamente negli occhi e che le aveva perfino fatto delle lusinghe che anche la ragazza più inesperta avrebbe colto.

Ero certo che avesse percepito quanto la desideravo: per poco non l'avevo baciata per poi respingerla subito dopo.

Che enorme stoltezza la mia... se il mio intento fosse stato quello di mandarla in confusione, io ero stato un campione insuperabile.

Nei suoi occhi così trasparenti, avevo visto accendersi una luce che più di mille parole mi aveva svelato i suoi sentimenti, quei sentimenti che avevo appena scoperto di provare anch'io.

Era quello l'amore? Quella scintilla che si era infiammata in un attimo? Era bastato così poco per sentirci così vicini, stregati l'uno dall'altra, ma il nostro amore che poteva illuminare il mondo non sarebbe stato mai possibile.

Dopo qualche minuto, avevo già il cuore ricolmo di desideri soffocati che ben presto divennero rimpianti.

Uno spasimo brutale mi avvelenò i sogni dell'animo e in silenzio tornai al villaggio.

Nonostante mi si fosse chiuso lo stomaco, raggiunsi gli altri uomini per condividere l'ultimo tè come facevamo ogni sera.

Credevo di rincontrare Sahid, ma m'informarono che era ripartito così come era arrivato. La cosa m'insospettì, poiché dopo il nostro litigio, non mi aspettavo una così facile resa da parte sua.

Amghar, mentre era seduto difronte a me, mi scrutava attentamente negli occhi per carpire i miei pensieri, nonostante mostrassi la mia solita aria indifferente: mi conosceva bene e aveva capito che era successo qualcosa.

- Nel deserto girano strane voci, Raji - mi disse attirando la mia attenzione.

Lo guardai interrogativamente e lui proseguì: - Si mormora che tu e Sahid abbiate litigato per la straniera dai capelli di fuoco e dagli occhi di ghiaccio...

Lo sapevo che i miei uomini avevano cominciato a farsi domande da quando avevo portato Shirley nella nostra oasi, ma ovviamente Amghar, vecchio saggio che non si faceva problemi a dirmi quello che pensava, mi mise in guardia.

- Ieri sera ti ho mandato una mia schiava, ma l'hai rifiutata... - mi disse.

- Ero stanco - gli mentii, ricordandomi di quella schiava che mi aveva seguito fin dentro la mia tenda.

- Penso invece che quella ragazza ti abbia rammollito il cervello, ragazzo mio! - mi disapprovò con un tono che non aveva niente di scherzoso.

Solo la notte prima mi aveva spinto a "divertirmi", ad appagare i miei istinti primordiali senza nessun coinvolgimento emotivo, non sapendo quanto invece Shirley mi fosse già entrata nell'anima.

Amghar mi aveva messo alla prova cercando di farmi sedurre da un'ancella.

- Il ventre dà il colore del figlio - pronunciò con tono solenne.

Capii all'istante il significato di quell'antico detto.

- Non dici niente? - mi provocò pur sapendo che non potevo fingere di non aver compreso quell'ammonimento.

- Andrà via molto presto. Non rimarrà qui ancora per molto... - gli risposi senza esitazione, non lasciando trapelare quanto quella decisione mi costasse.

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