Capitolo 5°

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Di poche cose importava realmente a Simòn. Non era mai stato un uomo attaccato ai beni materiali ma nella lista degli oggetti di cui proprio non poteva far a meno, vi erano due cose per lui, ritenute sacre. La prima era un vecchio cimelio di famiglia, un ciondolo che portava nascosto nel taschino della giubba ed una penna piuma.

Certamente ad un occhio poco sensibile, quelle cianfrusaglie potevano apparire insignificanti ma il loro valore era assoluto, soprattutto se si pensa che entrambi gli erano stati lasciati in dono da sua madre. La penna piuma, bianca, veniva utilizzata da Simón in rare occasioni e sovente quell'occasione, gli veniva suggerita dall'ispirazione, quando seduto allo scrittoio, riusciva a comporre sonetti.Sonetti che aveva raccolto all'interno di una piccola scatola di legno che teneva gelosamente custodita, sotto le assi del pavimento, sin da quando aveva imparato a leggere e scrivere. Segretamente custodite, erano lontane dagli occhi di suo padre che se le avesse trovate, senz'altro le avrebbe fatte in mille pezzi.

Diversamente il ciondolo era sempre con lui.

Si trattava di un piccolo monile in argento. La sua forma circolare era dovuta all'uso che veniva fatto di questi strani portaritratti. Anche il suo era in argento ma sulla parte esteriore, a dispetto di quelli che comunemente si trovano in commercio, erano stati scalfiti dei ghirigori sottili ed al centro incastonato un rubino. Una volta aperto questi si divideva simmetricamente in due parti. Sulla destra vi era raffigurata una deliziosa fanciulla mentre nella parte più interna si poteva leggere una piccolissima dedica "Non è follia, è amore".

Quella donna era sua madre.
Quella dedica era di suo padre.

Fu lui, infatti, a farne dono alla sua amata sposa quando nei tempi che furono l'aveva chiesta in moglie. Era la follia che aveva spinto gli animi di quei due giovani, quali eterni rivali politici, a sfidare il destino.

Sì perché Robert e la sua giovane Caroline erano stati segretamente innamorati l'uno dell'altra per molto tempo e quando le loro famiglie avevano cercato di separarli, ne venne fuori un dramma degno dei migliori romanzi epici.

"È una follia, Robert."
" È amore, Caroline!" le ripeteva lui sfidando le alte mura del castello e le guardie poste sotto la sua stanza per un casto bacio. Caroline era una Armagnac e mai un De bourienne avrebbe potuto sposare un loro discendente. L'odio muoveva le loro famiglie ma non i loro cuori che avevano avuto la sfortuna di andare oltre gli affari politici, oltre i giochi di potere e di essere legati dal più puro dei sentimenti. Furono necessari gli interventi del Vescovo della città che difendendo l'amore di quei due giovani, giurò di sposarli in segreto e quando Robert minacciò la morte, suo padre non potè che per quiete della sua casa, acconsentire a quel matrimonio.

I giorni che seguirono furono memorabili. L'intera cittadina di Besançon si riunì nella Cattedrale per omaggiare gli sposi e di loro si parlò per così tanto tempo che i due divennero l'emblema dell'amore.

Qualche anno più tardi nell'oscurità della notte, la neve accompagnò tra le braccia di Caroline due occhioni neri.

Era la sera del 24 Dicembre e Robert baciando la sua sposa, benedisse l'arrivo di quel figlio così tanto desiderato. Li amò, li amò sino allo stremo e poi un triste giorno tutto svanì. Il pianto dolce di quel fanciullo, si trasformò in un grido di terrore quando sfuggendo al controllo di sua madre, corse lungo il ciglio della strada sfuggendo ad una carrozza, il cui cocchiere non riusciva più a controllare poichè i cavalli, come impazziti, iniziarono a sbizzarrirsi e a sfuggire al suo comando.
Simòn ne uscì illeso ma per sua madre non fu altrettanto. Raccolta su sè stessa, fece scudo col suo il corpo del figlioletto che ricoperto di sangue, attirò con le sue urla l'attenzione di suo padre. Robert corse ma ormai era troppo tardi. Il suo cuore fu lacerato e da quel giorno, non riuscì mai più a guardare suo figlio nella stessa maniera.

Le guance rosate, furono ben presto sostituite da lunghi baffi neri che coprirono un sorriso che mai più apparve sul volto e lo sguardo, da dolce quel era sempre stato, si tramutò ben presto in una occhiata glaciale.

Da quel giorno erano trascorsi ventitré lunghi anni e mai dopo quel nefasto evento, Simòn dimenticò quel medaglione. Non lo fece neppure quella sera, in cui seduto, da solo in un angolo della vecchia taverna di città si ritrovò a fissare una bionda.

La pinta di vetro, veniva portata alla bocca con una superficialità disarmante, poiché la testa ,viaggiava lungo i meandri dei pensieri. Forse per la prima volta, dopo tanto, tempo pensò che in fondo quella di sui padre potesse essere una buona idea. Ma perché limitarsi ad una sala d'armi? Quella che lui ipotizzò era una vera e propria Accademia. Ispirandosi alle scuole Fiorentine, pensò di dare vita ad un progetto molto più ambizioso. La Francia aveva bisogno di una restaurazione e quale miglior occasione di rinascita ,poteva essere quella per fondare una vera e propria scuola di arte?

Passò le mani sul legno duro ed improvvisamente tutto gli fu chiaro.

Il disegno stava prendendo vita.

<Cerchi compagnia?> Una donna con succinte vesti gli si avvicinò. Non disse una parola ma continuando a fumare del tabacco, con l'unico braccio libero, l'attirò a sè per la vita e adagiandola sulle sue gambe lasciò che la scia di fumo, passasse dalla propria alla sua bocca. Quella lo guardò con aria lasciva poi senza esitare si sistemò a cavalcioni e respirando ancora il fumo dalla sua bocca, prese a baciarlo dapprima in maniera violenta poi lasciandosi trasportare dalla lussuria continuò in modo lento e sensuale per lunghi minuti.
Si fermò poi Simòn un istante e senza parola alcuna, tirò fuori dalla giubba qualche ducato che fece risuonare davanti ai suoi occhi azzurri e quella mordendosi il labbro inferiore, lo prese per mano e lo condusse rapidamente per tutta l'intera sala che altro non era ormai che un bordello a cielo aperto. Lo spinse in fondo, facendosi largo tra la folla impazzita di uomini e donne che in un ormai vortice di depravazione solleticato dal consumo di alcol e fumo avevano iniziato un gioco dal quale nessuno poteva più sottrarsi.

Lui strinse più forte la sua mano poi tirandola con il braccio non fasciato, avvinghiati, si trascinarono lungo una scalinata di legno che portava a degli appartamenti siti al piano superiore. Non ci vollero molti passi prima che il tonfo della porta si richiudesse alle loro spalle. Ma quella chiusura non fu null'altro che il via libera per quegli animi già riscaldati che ebbri di desiderio, come magneti, furono immediatamente attratti l'uno verso l'altra. La rossa, spinse il cavaliere lungo il letto e liberandolo dagli indumenti si chinò lungo il corpo dell'uomo per dargli piacere intenso. Questi tirò indietro la testa ed ebbro di felicità, sgombro dai pensieri, si abbandonò a lei.

Anemos ( Fiore del Vento)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora