Capitolo 9.

29 4 2
                                    

Vi erano delle notti in cui il Duca non riusciva a prendere sonno e quella fu una di queste. Era rimasto solo, poiché aveva ormai da tre ore, almeno, congedato la servitù. Il viso era in penombra, benché il chiarore tenue delle candele, illuminavano a sufficienza l'intera stanza.
Seduto  su una poltrona in mogano, con le braccia appoggiate rigorosamente ai braccioli e le gambe allungate l'una sopra l'altra, stringeva tra le mani un  bicchiere di cristallo soffiato. Sebbene la scrivania fosse a pochi metri, questi aveva adagiato la bottiglia del liquore sul pavimento, così che anche con una sola mano, avrebbe potuto afferrarla e riempire nuovamente. Aveva scelto un parfait amour un tipo di liquore che nasceva dall'infusione di fiori tra i più antichi di Francia. In cui petali di rose e violette, camomilla si mischiavano  alle spezie dolci come il coriandolo o la cannella, ne veniva fuori una mistura rosea che risultava gradevole non solo nel sapore ma anche nell'aspetto.  Ogni tanto faceva roteare lentamente il liquido rosato e dopo averne ispirato l'essenza, lo accompagnava alla bocca, facendo una smorfia. Stringeva gli occhi  tanto era forte e buttava giù il sorso, tirando indietro la testa. Poi sbuffava. Il suo animo era tormentato e più l'alcol si impossessava del suo corpo, più la mente era ottenebrata, più il rimorso cresceva. Avrebbe voluto non trattenersi su quella terrazza. Eppure lo aveva fatto e questo era un fatto strano.Cosa l'aveva spinto a fermarsi? Perché temeva quella donna?Il suo giudizio? 

Ad un tratto, il rombo di un tuono lontano, illuminò il cielo plumbeo. Tutto intorno il buio pesto, colorò le pareti della stanza ed un vento gelido, soffiò sulle candele che immediatamente rilasciarono una leggera traccia di fumo che si dissolse quando un odore, nauseabondo ,di carne putrefatta, invase le narici del poveretto.
Chiamò a voce alta qualche nome ma il solo suono che udì, fu quello del silenzio.
Gli sembrò di essere rimasto solo nel Palazzo tanto che il cuore si agitò nel petto. Quindi si alzò di scatto e dirigendosi verso la porta d'ingresso notò che il pomolo era diventato incandescente. Al limite dello stupore, si spinse oltre la porta ed improvvisamente, figure alate, apparvero innanzi a lui. Non ebbe paura,anzi, ne rimase incantato dal piumaggio lungo e colorato: sfumature di porpora coloravano la loro coda, mentre il tronco  di un brillante arancione, avanzava lentamente verso il capo, in una perfetta fusione cromatica del bianco ed il giallo, dando vita, ad un indefinito colore paglierino.
Si voltò incuriosito da quelle strane creature. Ne osservò la fattezze, la fusione, poi voltandosi intraprese a camminare verso la loro destra, tanto erano enormi. La curiosità lo stava divorando: voleva ad ogni costo guardarli in volto ma più camminava e più gli sembrava che questi si allungassero verso l'alto e non c'era modo di scoprirne lo sguardo, anzi, quando fu sul punto di farlo, un bagliore accecante, richiamò la sua attenzione.
Si spinse allora verso le scale. Alzò il mento  per spiare quella scia ma non appena la mano si posò sul corrimano, la terra tremò e subito pezzi di pietra infuocata, iniziarono a precipitare con violenza verso il basso.
  Provò a mettersi in salvo ma non appena oltrepassò il terzo scalino, quegli uccelli riapparirono davanati a lui e subito un rumore di pesanti catene, echeggiò come un avvertimento minaccioso ed inquietante.
Dalla terra una profonda voragine si aprì e ne venne fuori lava incandescente. A quella vista, la paura s'impossessò del suo corpo ma non della sua mente ancora stranamente lucida. Adocchiò una via di fuga e iniziò a correre. Lo fece per alcuni metri poi nuovamente, quegli uccelli, si materializzarono stavolta nelle loro reali fattezze e subito sbarre dorate lo ingabbiarono e fu solo allora che vide in faccia quei mostri. I loro visi erano sfegiati, i loro occhi iniettati di sangue ma quello che gli fece mancare l'aria fu il loro verso. Un cigolio acuto, cadenzato, persistente. Coprì le orecchie ma quello stridio era così intenso che pure quelle sbarre si frantumarono in mille scheggie di vetro che gli si conficcarono nella pelle trapassandola e lacerandola. Cadde a terra ma immediatanente il terreno divenne più paludoso e dal fango emersero corpi di cadaveri in disfacimento.
Nel vederli pianse,pianse amaramente ma quelli ignorando le suppliche avvicinandosi l'accerchiarono. Si misero uno alle spalle dell'altro ed allungando prima una mano, poi l'altra tentarono di sfiorargli il viso producendo fastidiosi lamenti. <Qualcuno mi aiuti!> Urlò ma quelli divennero ancora più insidiosi e non potendo più fare alcuno sforzo si arrese..

Fu il cinguettio degli uccellini sul davanzale della finestra a dargli il singolare risveglio. Ma ancor più traumatico, fu quello che seguì.

<Vostra Grazia, Vostra Grazia!> Nel vederlo steso sul pavimento la vecchia Ninì si spaventò, tanto che ci era mancato poco, non avesse tirato giù l'intero palazzo. <Vostra Grazia, state bene?? Oh mio Dio!! Faccio chiamare subito un medico!>
<Per favore Ninì..> Disse riaprendo gli occhi lentamente. Si mise seduto in posizione semi-eretta poi passandosi sul volto gonfio una mano sospirò <sto bene, mi sono solo addormentato..credo di aver esagerato con l'alcol.> a quelle parole la donna si sentì immediatamente più sollevata quindi porgendogli dell'acqua l'aiutó a rialzarsi e a ridarsi un contegno.
<Che ore sono?> Chiese lui
<Non è ancora giunto il tramonto, mio Signore>
Quello si limitò ad annuire poi afferrando di scatto dei guanti, scese rapidamente le scale della propria abitazione. Il sole non era ancora spuntato e per tanto in giro nessun uomo della servitù si vedeva. Questo fu a suo poco una fortuna perché gli diede l'occasione di sfuggire ad ogni formalità di cui in quel momento avrebbe fatto volentieri a meno.
Ancora intontito scese verso le stalle che erano site a qualche metro dalla residenza centrale. Si trattava di una scuderia modesta ma ben attrezzata con il lastricato in legno suddivisa in due perfette aree. Una, nel fondo, dedicata alla cura del cavallo, l'altra che dava direttamente sul giardino.
Lo stalliere non era ancora giunto per cui dovette fare da solo. Su di un vecchio tavolo di legno vi era,già pronta, una sella in cuoio, ne afferrò l'arcione posteriore e la poggiò sull'imbottitura. Sebbene non fosse il suo Fulmine, l'aveva già altre volte cavalcato, per cui con una certa sicurezza lo tirò per le briglie e dopo aver spalancato le porte lo montò. Dove fosse diretto non lo sapeva ma aveva bisogno di percepire il sapore della libertà di quella sensazione che solo una corsa al galoppo poteva offrire. E neanche a dirlo la ritrovò immediatamente dapprima sulla faccia poiché l'aria fresca gli pugolò il viso che divenne immediatamente più roseo poi nel cuore che gli sembrò svuotarsi quel macigno.
Galoppò per almeno trentadueminuti. Attraversò sentieri nei boschi che aveva sin da bambino perlustrato in lungo e in largo poi abbandonato il bosco giunse alle porte della cittadina.
Chi aveva sempre abitato quelle zone sapeva bene che oltrepassando il sentiero che conduceva al vecchio mulino de la Crois, si arrivava sulle sponde del fiume Doubs. Un angolo di paradiso immerso nella radura verde poco visibile dalla strada. In verità non era difficile arrivarci ma per giungervi bisognava necessariamente passare per una vecchia scorciatoia che ai più era nascosta. Così legato l'equino ad una pianta Simón si addentrò a piedi.
Era fondamentale non perdere mai di vista la strada perché sia sulla destra che sulla sinistra si snodavano altrettante viuzze e quel gioco di strade poteva essere pericoloso. Pertanto facendo attenzione a dove mettesse i piedi camminò per una decina o poco più di minuti, in vero non ci fece caso poiché il crepitio dei suoi passi, sulle foglie a tratti secche gli teneva compagnia.
Fu il rumore dello scorrere dell'acqua a dargli il benvenuto. Con la mano destra si liberò da un ultimo ramo e col sorriso stampato sulle labbra si avvicinò ai piedi del fiume che sgombro da ogni ostacolo scorreva seguendo la sua naturale inclinazione. Nell'avvicinarsi, tuttavia, non solo gli parve divenire più intenso il gorgoglio dell'acqua ma quella frescura gli fece venire una irrefrenabile voglia di immergervi una mano. Lo fece. L'acqua era così fresca che ci volle qualche minuto prima di abituarsi ma quei forti contrasti di temperatura, sembrarono calmargli l'animo ancora scosso, dalla notte precedente. Fu allora che ogni pensiero nella sua testa prese forma. Come in un misterioso rebus, ogni immagine fu trasformata in parola e ad un tratto, nulla gli sembrò più complicato: finalmente capì!

Anemos ( Fiore del Vento)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora