CAPITOLO TREDICI

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12 giugno 1944
Forse mi ha scoperta, credo che Niccolò abbia intuito il mio segreto.
Cosa farò adesso?

Mi alzai frastornata e come al solito Niccolò non era più al mio fianco, tutte le mattine era sempre la stessa storia. Cercai di rendermi più presentabile, misi frettolosamente un vestito blu a pois, legai i capelli in uno chignon basso e mi diressi ancora assonnata al piano di sotto. Lo trovai incredibilmente nervoso.
«Niccolò stai bene?», chiesi avvicinandomi a lui e abbracciandolo.
Sobbalzò all'improvviso, si voltò e mi prese il viso tra le mani, mi baciò, «Scusami, non ti ho sentita arrivare. Questa mattina ho ricevuto brutte notizie».
«Che succede? Sai bene che puoi dirmi tutto», gli dissi accarezzandogli la schiena e dandogli piccoli baci sul collo.
«Lo so, ma non voglio spaventarti», rispose giocherellando distrattamente con una ciocca ribelle sul mio volto.
«Ti prego», implorai.
Sospirò pesantemente e iniziò a raccontarmi cosa era successo la sera prima.
«Ieri sera a Poggio alla Malva, otto partigiani dovevano far saltare in aria otto vagoni di tritolo fermi da giorni su un binario. La missione in teoria è riuscita poiché quando sono arrivati non c'erano le sentinelle, probabilmente erano a far festa. Fatto sta che qualcosa è andato storto, hanno perso la vita quattro partigiani nella missione», smise di accarezzarmi il viso e diventò ancor più serio, «Non posso farti questo. Devo andare Magda. Potrei saltare in aria anche io da un momento all'altro».
Mi staccai da lui, «Ma che stai dicendo? Niccolò siamo stati liberati dagli Alleati. Hanno costretto i nazisti al ritiro sulla linea gotica. La liberazione di Roma vuol dire che forse tutta l'Italia sarà liberata, Roma è la capitale. Prima dell'arrivo degli americani Roma era Benito Mussolini, era lui Roma, era il simbolo della dittatura» dissi esasperata.
Mi guardò sorpreso, la mia reazione l'aveva spiazzato. Pensava che fossi ingenua? pensava davvero che fossi una donna da proteggere? Oppure, ancora peggio che non fossi in grado di badare a me stessa e agli altri?

Non poteva essere così tanto lontano dalla verità.

13 giugno 1944
Nonostante i nubifragi e il mare in sommossa, l'invasione procede bene.
Churchill, Eisenhower, Arnold e Smuts ieri sono andati nelle città francesi liberate dagli inglesi.
Churchill era su una nave progettata per lanciare siluri, mentre bombardava la costa. Quest'uomo è incredibilmente coraggioso. In breve, mio caro diario la situazione è questa, gli inglesi devono battersi per l'Inghilterra e anche per i paesi invasi dalla Germania nazista.

16 giugno 1944
Erano stati giorni pesanti per me, ero un fascio di nervi. Nel tardo pomeriggio Niccolò rientrò con del cibo. Appoggiò la cesta sul tavolo, mi abbracciò e disse, «Questa sera devo perlustrare io la zona con gli altri».
Lo guardai preoccupata, «Posso venire con te?».
Mi guardò come se avessi parlato un'altra lingua, «Che cosa?», mi chiese staccandosi da me.
«Posso venire con te?» ripetei sfidandolo con gli occhi.
«No Magda, è troppo pericoloso».
«Stai scherzando? Perché tu puoi?».
«Perché?», passò le mani fra i capelli lunghi e iniziò a camminare freneticamente nella stanza come un leone in gabbia, «Perché io sono un soldato? Perché so come muovermi e come affrontare determinate situazioni? Ecco perché», rispose sempre più arrabbiato.
Continuò a girare per la stanza, «Ma come puoi essere così incosciente?», si bloccò e mi fissò, i suoi occhi per l'agitazione erano diventati più scuri, invece di essere color miele, erano mutati nella stessa tonalità del cuoio, avevano quasi assunto il colore del carbone.
Esplosi dalla rabbia per le sue accuse, mi slanciai verso di lui con un salto e gli puntai un dito contro, «Tu credi davvero che io sia così stupida? Pensi che io sia inutile? Non ho bisogno della tua protezione», dissi.
Ero molto di più di una ragazzina. Avevo visto abbastanza, ero dovuta crescere in fretta, la guerra mi aveva tolto tutto, e lui ancora pensava che avessi bisogno di protezione?
A quel pensiero persi completamente il controllo e gli urlai contro, «Tu non mi conosci Niccolò Leone. Non mi conosci affatto!».
Mi guardò confuso e cercò di toccarmi il braccio, mi scostai bruscamente, «Tu non sai cosa ho dovuto fare per proteggere la mia famiglia, almeno quella parte che mi era rimasta. Tu non sai cosa il destino mi ha imposto di fare per proteggere la mia gente, il mio sangue, la mia Roma, la mia amata Italia. Tu non sai niete Niccolò!», i miei occhi si riempirono di lacrime, erano lacrime di rabbia per quello che avevo visto, sopportato e fatto per sopravvivere. Mi diressi nuovamente al piano di sopra e non mi voltai indietro, nonostste lui mi chiamasse con voce confusa dalle scale.

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