-4, Levi's past-

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Dopo quella sera, imparai una lunga lista di nuovi aneddoti su Levi.

Nonostante di giorno continuasse ad essere il solito studente universitario stressato e con un diavolo per capello, la notte non esitava a venire a bussare alla mia porta, con quel mezzo sorrisetto stampato in faccia, per fare visita alla tomba della mia piccola amica.

Così passammo lunghe notti insieme, a parlare di qualsiasi cosa ci passasse per la testa.

Lui guardava me divertito e io contemplavo i riflessi bianchi della luna sui suoi capelli biondo cenere.

Tipica situazione da iopertemuovereilemontagnematumivedicomelabambinadellaportaaccanto.

Alquanto irritante.

Un venerdì sera, però, si voltò nella mia direzione, mi fece il suo  mezzo sorrisetto e disse:"Dormi da me questa notte?"

Mancava poco e sarei caduta come una pera cotta dalla lapide su cui ero seduta.

"Datti una calmata, non ho intenzione di farti nulla di particolare."

Ripresi l'equilibrio e cercai di ricompormi il meglio possibile.

"Mi hai fatto perdere dieci anni di vita."

"Ehi" mi fulminò con gli occhi "non esagerare."

Scese dalla lapide accanto alla mia e mi porse una mano.

"Vieni, dai"

Esitai per un momento, ma a giudicare dall'espressione tranquilla e pacata di Levi saremmo finiti a curiosare nella sua collezione di libri horror e a trafficare fra le carte sulla sua scrivania. O meglio, io mi sarei messa a curiosare ovunque fin quando lui non mi avesse implorato di smettere.

Afferrai quella mano e mi lasciai guidare verso la sua camera, poco distante dalla mia.

Ci muovemmo in silenzio cercando di fare meno rumore possibile e in un attimo mi ritrovai nella sua stanza. Cominciavo a sentirmi abbastanza nervosa.

Levi sembrava essersene accorto, infatti fece di tutto per farmi sentire a mio agio.

Parlammo per minuti interminabili di Maelle e finalmente mi raccontò come mai la conoscesse.

Maelle entrò in orfanotrofio un paio d'anni prima di Levi, e quando lo incontrò in aula magna lo prese come suo protetto. Lo costringeva a giocare con lei a moglie e marito minacciando di rubargli il pranzo. Levi doveva essere stato un bambino abbastanza tranquillo, se non troppo paziente. La loro amicizia durò fino a quando Levi non raggiunse l'adolescenza e si impuntò sul fatto che alla sua età era meglio gironzolare per la città di nascosto con i suoi amici che giocare all'uomo di casa con una bimbetta di all'incirca sette anni.

"Non avrei mai pensato che quella malattia di cui parlavano l'avrebbe portata via così presto."

Sospirammo entrambi, guardando fisso la parete bianca, persi nei nostri pensieri.

"Aveva proprio delle trecce lunghissime, ricordi?" dissi cercando di sviarlo da quei pensieri, che talvolta tormentavano anche me.

"Già, e quando non era inzuppata di fango non aveva neanche un cattivo odore."

"Se fosse stata qui ti avrebbe sbriciolato il setto nasale."

Fra una risata e l'altra ci ritrovammo sul suo letto, lui steso con la testa sul cuscino e io seduta accanto a lui.

"Dai, stenditi" mi disse con senza trapelare nessuna emozione.

Spalancai gli occhi.

"Perchè tutta questa timidezza? Quando eravate piccole tu e Maelle sgambettavate in mutandine rosa ricoperte di fango per tutti i corridoi dei dormitori."

Lo guardai visibilmente imbarazzata.

"E tu ci spiavi?!"

"Che mi prendi per uno stupido?! Certo che ."

Mi prese dai fianchi e mi gettò accanto a lui, con la testa sul suo petto molto più scolpito di quanto sembrasse. Profumava di sapone e di detersivo per capi delicati. Sentivo la barbetta sul suo mento sfiorarmi la fronte mentre parlava e le sue mani accarezzarmi i ricci neri e definiti.

Cercai di parlare il più normalmente possibile, detestavo comportami da bambina di fronte ai suoi occhi, nonostante tante volte mi fosse difficile comportarmi altrimenti.

La conversazione si bloccò quando, involontariamente, arrivammo a toccare l'argomento dei nostri genitori. Volevamo chiedercelo l'un l'altro, ma non ne avevamo proprio il coraggio.

Fu Levi a prendere un gran respiro e porre la domanda per primo.

"A te Maya cosa ha raccontato?"

"Mi ha raccontato che mi ha trovato di fronte alla porta sul retro quando avevo all'incirca un anno. Stavo in una cesta, avvolta da una coperta di lino e non spiccicavo parola. Mi ha chiamato Leila perchè avevo i capelli neri come il cielo notturno e gli occhi brillanti come le stelle. Tutto molto Biancaneve vecchio stile no?"

Levi rise per qualche secondo, per poi tornare subito serio.

"La mia è vera di sicuro però"

"E come fai a saperlo?"

"L'ho vissuta io, in prima persona."

Trattenni il respiro. Oh no, Levi...

"Mia madre si chiamava Julia e morì quand'ero molto piccolo, anche se il perchè, per quanto possa sforzarmi, non riesco proprio a ricordarlo. Devo aver vissuto con mio padre, Cedric, per un bel po', perchè quando lui stesso mi portò all'orfanotrofio io avevo già 8 anni. Non mi ricordo di aver sentito un suo saluto, nè perchè io l'abbia sempre considerato come mio padre. Alla fine, forse, del mio passato non ho vissuto proprio un bel niente."

Gli accarezzai dolcemente la guancia.

Fu come se la mia mano si muovesse da sola, senza che io me ne accorgessi minimamente, fin quando il suo sguardo sorpreso non si posò sul mio viso.

Mi afferrò il polso e guardò intensamente nei miei occhi.

"Leila, sarebbe così terribile se tu passassi davvero la notte qui, vicino a me?"

Col cuore che batteva all'impazzata scossi lievemente la testa.

Mi baciò e le nostre mani non facevano altro che cercarsi e i nostri corpi di volersi, di pretendersi.

Quando sentii la mia verginità abbandonarmi non potei che sorridere al pensiero che tutto quel caldo piacere fosse causa di Levi, il mio scorbutico Levi.

Quando il suo corpo si sciolse in un lento orgasmo, mi sembrò quasi di vedere lo stesso sorriso, la stessa scintilla nei suoi bellissimi occhi.

Tutt'ora, ogni notte, nella solitudine delle mie stanze, sogno quegli occhi di ghiaccio, quei capelli cenere, quel profumo così semplice ma non meno piacevole di qualsiasi altro...

"Dear Maelle,"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora