-5, Levi's syndrome-

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Il giorno dopo mi risvegliai accanto a lui, mentre ancora dormiva.

Sembrava stesse sognando, dato che non stava mai fermo.

Mi alzai, mi rivestii e uscii dalla sua stanza senza fare il minimo rumore.

Mi incamminai verso la mensa, dove avrei preso la sua solita colazione per poi portargliela a letto.

Presi un cornetto vuoto, quattro biscotti fatti in casa, un cappuccino e li poggiai su un vassoio.

Magari sarei potuta sembrare un po' troppo mielosa, ma per una volta decisi di agire d'istinto, compiendo semplicemente quello che mi sentivo di fare. Come ieri...

Arrossii violentemente al pensiero.

Ieri io e Levi... Dio mio, mi ci vorrà un mese intero per realizzarlo.

Arrivata di fronte alla sua porta, che avevo lasciata socchiusa, la spinsi leggermente con il gomito, per ritrovarmi Levi nell'atto di alzarsi la zip dei pantaloni.

La luce del sole illuminava i suoi capelli facendoli sembrare platino e le meravigliose ombre che delineavano il suo fisico leggermente scolpito avrebbero potuto farmi perdere l'equilibrio da un momento all'altro.

Appena mi vide, il suo volto si illuminò nel suo solito mezzo sorriso.

Cosa dire, un Adone.

Chiusi la porta alle mie spalle e gli augurai il buongiorno, sorridendogli dolcemente.

"Ma che brava mogliettina, mi hai portato la colazione... Ehi, aspetta..."

Il mio cuore saltò un battito. Cos'è che non andava? Avevo sbagliato qualcosa?

"È la mia colazione preferita..."

Mi guardò sospettoso e io, senza avere la più pallida idea di come rispondergli, alzai le spalle.

"Mi spieghi come fai a saperlo?"

Morse un biscotto mentre continuava a guardarmi. Sentii le guance bruciare. Di certo non potevo dirgli che seguivo ogni sua mossa da quando avevo dodici anni, così stetti in silenzio, sperando che ci rinunciasse.

"Quanto zucchero hai messo nel cappuccino?"

"Non ne ho messo."

"Non hai neanche portato le bustine... Come diavolo fai a sapere che lo bevo senza?"

Ero inchiodata alla porta della stanza, senza riuscire a muovere un muscolo.

Alla fine, mi decisi a parlare, cercando di sfatare i suoi sospetti.

"Beh, sai... L'istinto."

"Sei una fottutissima stalker, Leila!"

Levi scoppiò a ridere e man mano che la sua risata cresceva io diventavo sempre più paonazza.

Levi doveva essersi accorto del mio disagio, così, per farmi tornare di un colorito pressoché normale, mi offrì un biscotto come i bambini si offrono le costruzioni.

Scossi la testa, allora lui venne a sovrastarmi avvolgendomi in tutto il suo metro e ottantacinque.

Le sue braccia attorno ai miei fianchi e il calore del suo petto sulla mia schiena mi riportarono alle sensazioni della sera prima.

Quando Levi avvicinò la sua bocca alla mia non esitai un attimo a baciarlo, lasciandomi andare a quel turbine di ardenti emozioni ancora nuove per me.

Passarono un paio d'ore, nel quale io e Levi ci divertimmo a gettarci briciole addosso - lo so, non fate domande - e a baciarci, e a baciarci, e a baciarci...

"Leila, ascoltami..."

Dopo avermi quasi buttato un biscotto nell'occhio Levi si fece improvvisamente serio, come se gli fosse tornato in mente qualcosa di molto importante.

"Dimmi..." gli dissi titubante.

"Sposerai quell'uomo, vero?"

Ammutolii. Mi ero quasi dimenticata del signor Vanderbilt, della sua famiglia, del debito...

Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, spostai il mio sul pavimento.

"Non posso essere così egoista da rifiutare..."

Levi scattò in piedi e si mise le dita fra i capelli, visibilmente nervoso.

"Va via!"

"Levi, prova a capirmi!"

Tremava dalla rabbia e io senza neanche accorgemene piangevo a dirotto.

"Ti ho detto di andare via!"

"Levi, per favore, ascoltami..."

In un attimo Levi rovesciò il vassoio della colazione a terra e con un semplice movimento delle braccia spaccò la sedia su cui pochi secondi prima ero seduta.

Ero preoccupata e allo stesso tempo terrorizzata, volevo aiutarlo con tutto il cuore, ma l'unica cosa che riuscivo a fare era piangere come una bambina.

"Devi andartene via! Subito!"

Sconfitta, uscii dalla camera, ritrovandomi nel corridoio.

Appoggiai l'orecchio alla porta, cercando di capire se si fosse finalmente calmato. Ma, ahimè, anche lui era scosso da un pianto disperato.

In quel momento desiderai con tutto il cuore di poter essere egoista, di poter continuare la mia storia con Levi fregandomene del destino di tutti gli altri.

Quegli spettacoli erano disgustosi, traumatizzanti, destabilizzanti e strazianti, ma mai quanto vedere Levi soffrire in quel modo.

Avevo sentito in giro che fosse affetto da sindrome dell'abbandono da quando è arrivato all'orfanotrofio, ma passare del tempo con lui non mi dava la possibilità di pensare, di riflettere e di collegare ogni pezzo. Era stata una sorta di trance, avevo vissuto tutto come se fosse un sogno perdendo la cognizione della realtà.

Tornai nella mia stanza, distrutta.

E ora? Cosa faccio?

Angolo autrice, yay

Che dire, mi diverto sempre di più a scrivere questa storia e lo so che magari potrei risultarvi abbastanza pesante, ma le opinioni sono di grandissimo aiuto per me. Quindi, anche se vi va di buttarmi insulti a caso, un piccolo commento è sempre ben accolto.
Grazie mille!

"Dear Maelle,"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora