6. Campo minato

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Raggiunsi Jason, che mi condusse al tavolo vicino la vetrina che dava sulla strada. Ci sedemmo su delle graziose sedie in ferro, verniciate di bianco ed abbellite con cuscinetti colorati.  Jason mi mise davanti la fetta di torta al cioccolato. Lo guardai perplessa.

"Tu non odiavi i dolci?" chiesi corrucciando la fronte.

"Be', non è che li odi, è solo che non mi piace il sapore troppo zuccheroso che hanno" farfugliò agitando la forchettina che impugnava con la mano destra.

Continuai a guardarlo confusamente, poi risposi:

"Allora perché quella volta hai mangiato il mio cupcake?"

Lo vidi arrossire leggermente mentre abbassava lo sguardo verso la sua fetta di torta.

"Lo mangiai perché sembrava buono" sputò all'improvviso prendendo un boccone della sua torta al limone.

Sorrisi lievemente alla sua risposta, presi un pezzo di torta e lo portai alla bocca.

"Tu sei strano" risi.

Metterlo in imbarazzo era la cosa più divertente che avessi mai fatto, vederlo arrossire sempre di più ad ogni mia domanda era un gioco stupendo per me, ma una tortura per lui.

Posò la forchetta sul piatto e finalmente mi guardò negli occhi. Alzò la mano sinistra e se la passò tra i capelli, smuovendo il suo ciuffo e scoprendo ancora di più i suoi fantastici occhi neri.

"Perché?" chiese sorridendo a sua volta.

"Dici di odiare i dolci e poi li mangi, ti comporti da duro ed invece sei un bravo ragazzo, fai l'antipatico, ma sei simpatico ed altruista" spiegai sorridendo.

"Credi di aver capito tutto di me?" ribatté serio.

"Non credo che riuscirò a capirti completamente se non mi dai una mano" risposi scrollando le spalle.

"Nessuno riesce a capirmi" sorrise amaramente.

Di colpo la conversazione si fece cupa ed il silenzio si insinuò tra di noi. Non sapevo assolutamente cosa dire, sembrava che l'argomento lo turbasse non poco. Avevo paura di toccare altri tasti dolenti. Temevo di innescare l'esplosione di un'altra bomba in quello che si era trasformato in un campo minato.

L'unico rumore che spezzava quel silenzio era il tintinnio delle forchette sui nostri piatti.

Finimmo i dolci e, silenziosamente ci alzammo dalle sedie. Andammo verso l'uscita e salutammo Sophie.

Camminammo lentamente verso casa, avevo l'impressione  di aver sbagliato qualcosa con lui.

"Senti Jason, se ho sbagliato qualcosa dimmelo per favore..." iniziai guardando i miei piedi battere sul marciapiede, "Improvvisamente  ti comporti freddamente ed io non so che fare..."

Cavolo se era difficile parlargli senza ricevere neanche uno sguardo!

"Erika" mi richiamò afferrandomi  una mano, "va tutto bene. Non hai fatto niente di male" me la strinse e iniziò a massaggiarmi il polso con il pollice.

Alzai lo sguardo ed incontrai quello di Jason. Lo vidi sorridere leggermente e capii che era sincero. Era così bravo a farmi preoccupare quanto a tranquillizzarmi in un baleno. Gli strinsi la mano a mia volta e gli sorrisi.

Ci tenemmo la mano fino al nostro rientro al palazzo. Salimmo le scale con le nostre dita ancora intrecciate. Era una sensazione strana sentirlo così vicino. Ogni volta che lo vedevo pensavo alle parole di Chanel, in fondo era un bravo ragazzo, non poteva essere pericoloso.

Arrivammo al mio appartamento e lasciai la sua mano per prendere le chiavi nella borsa. Aprii la porta ed entrammo.

Posai la borsa e dissi sfregandomi le mani:

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