8. Demoni

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Tuffai una mano dentro una delle tasche del mio zaino e cominciai a tastare il fondo alla ricerca delle chiavi del mio palazzo. Dopo un paio di secondi sentii tra le mani un qualcosa di estremamente soffice e peloso. Un lieve sorriso nacque sul mio volto riconoscendo il portachiavi di James Sullivan, uno dei personaggi del film d'animazione che adoravo guardare da piccola. Lo tirai fuori facendo tintinnare le chiavi. Aprii la grande e possente porta ed entrai.

Strisciai i piedi sullo zerbino e cominciai a salire le scale. Mi ritrovai innanzi la porta dell'appartamento di Jason, quando la suoneria del mio cellulare ruppe il silenzio, diffondendo il suo suono, che echeggiava. Lo tirai fuori dalla tasca e vidi sul display una chiamata da parte di mio padre.

"Pronto papà?"

"Piccola mia! Come va a Londra?" mi chiese euforico.

"Qui tutto bene" mentii, naturalmente. Non potevo mica dirgli della mia situazione in quel periodo. "Come mai sei così contento?" chiesi infine.

"Oggi è il nostro anniversario di matrimonio e tua madre mi ha preparato davvero una bella sorpresa" mi spiegò.

Sapevo a cosa alludeva, era fin troppo chiaro. L'argomento, sinceramente, non mi interessava granché, specialmente se dovevo parlarne con i miei genitori. Era davvero troppo imbarazzante.

"Oh, capisco. Allora vi lascio. Divertitevi" dissi tagliando corto. Sapevo che mio padre moriva dalla voglia di chiudere la telefonata e correre tra le braccia di mia madre. 

"Grazie tesoro, ti saluta anche la mamma. Comunque domani passerà zio Peter a vedere se va tutto bene all'appartamento. Un bacio" concluse.

"Vi voglio bene."

A quelle parole mi commossi leggermente. La vita da sola era divertente, sorprendente e spensierata, ma comunque sentivo la loro mancanza. Certo, erano passate solo poche settimane dalla loro partenza, ma era come se mancassero già da molto tempo.

La schermata della telefonata si chiuse, mostrandomi la home del cellulare. Una piccola icona in alto attirò la mia attenzione. Andai a vedere tra i messaggi ricevuti e ne notai uno di Jason.

Da Jason Evans: Ti aspetto dopo le lezioni per comprare il cibo per stasera. Non tardare.

Mi colpii la fronte con il palmo della mano, facendomi imprecare per il dolore. Come avevo fatto a non accorgermi del messaggio?

Presi le chiavi ed aprii la porta dell'appartamento. Entrai e poggiai lo zaino e la giacca sul mobile accanto all'ingresso, mentre  riflettevo su quale scusa inventare da dire a Jason. Non ero un'ottima bugiarda, non lo ero mai stata.

Visitai tutte le stanze dell'appartamento, guardai persino in bagno, ma lui non c'era. La casa era completamente vuota. Sembrava che non fosse nemmeno tornato, tutto era in perfetto ordine, nessun abito sparso per la sua stanza, nessun paio di boxer lasciato sul pavimento del bagno accanto alla cesta della biancheria sporca e il televisore era ancora sintonizzato su Real Time. Jason odiava quel canale, diceva che trasmettevano solo programmi senza senso. A me, invece, piaceva e una sera, dopo una piccola guerra in casa, riuscii a convincerlo a guardare con me  Il Boss delle torte. Tutto mi faceva pensare che non avesse messo piede in casa e che quindi era ancora in giro. Sospirai sollevata, di certo avevo più tempo per pensare a cosa dirgli.

Nel frattempo, però, decisi di andare a fare una doccia, mi aiutava sempre a riflettere.

Mi lasciai cadere gli indumenti ai piedi ed aprii l'acqua. Era ancora fredda quando mi misi sotto il getto, il che mi provocò un leggero brivido lungo tutta la schiena.

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