14. Motociclette e pioggia

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La pioggia batteva sull'asfalto mentre il vento mi costringeva a tenere il viso rivolto verso il basso. Le mie scarpe erano completamente zuppe e sentivo che la mia giacca di jeans non mi avrebbe tenuta asciutta ancora per molto. Pregai Luke di sbrigarsi, ma la mia voce era completamente coperta dal motore ruggente della sua moto. Non mi sono mai piaciute, ma, come tutte le altre cose che detestavo che lui invece adorava, cercavo di non darlo a vedere soprattutto in sua presenza. Strinsi ancora di più le braccia attorno alla sua vita. Il suo giubbotto di belle era completamente fradicio e appiccicaticcio. Sopra la mia testa, la pioggia batteva ancora più forte sul casco. Le automobili attorno a noi sfrecciavano da tutte le parti, schizzando acqua grigiastra ovunque. Di colpo ci fermammo ad un semaforo. Luke imprecò verso l'automobilista davanti a noi che si era fermato troppo improvvisamente. Lo stridere delle ruote sull'asfalto mi censurò il tutto. Poggiò il piede per terra e sollevò il mento nell'attesa del verde. Pochi secondi dopo eravamo ripartiti. Ormai diventato parecchio impaziente e bagnato fino alle ossa, accelerò e agilmente sorpassò le auto che ci stavano davanti.

"Non credi di andare troppo veloce?" chiesi quasi urlando. Ero ad un fascio di nervi. L'ansia era ormai troppa e tentai con tutta me stessa di non sbraitare contro di lui.

"So quello che faccio, piccola" rispose in tono spavaldo.

Un automobilista ci regalò una miriade di soprannomi coloriti quando Luke gli tagliò la strada nell'imboccare una stradicciola parallela. Le ruote non aderivano bene al terreno accidentato.

"Accidenti" esclamava lui ogni volta che beccava una buca.

Quando arrivammo al luogo dell'appuntamento, non mi trattenni e tirai un sospiro di sollievo. Scesi dalla moto e mi sistemai i pantaloni assolutamente fradici. Erano più aderenti del solito a causa della pioggia e, pur non potendomi vedere, ero sicurissima che il mio trucco si fosse trasformato in una sorta di maschera spettrale. Ero inorridita all'idea. Sbuffai e lasciai il casco a Luke, che lo ripose nel vano sotto il sedile. Poi si avvicinò con una sua solita andatura sciolta e sicura di sé. Mi cinse i fianchi e i braccialetti di cuoio, che portava sempre, mi solleticarono lievemente. Odorava di fumo e un altro aroma altrettanto pungente e decisamente invadente.

Quella sera Luke avrebbe dovuto presentarmi al resto dei suoi amici. Ne conoscevo già qualcuno, ma troppo superficialmente per i suoi gusti. Entrammo nel locale e mi tolsi la giacca di jeans. Luke sollevò un braccio in segno di saluto e sorrise apertamente. Guardai il gruppo di ragazzi in fondo alla sala e tentai di sembrare a mio agio.

"Lei deve essere la famosa Samantha" disse uno dei ragazzi. Un piercing al labbro inferiore e due occhi di un azzurro gelido. "Luke ci ha parlato molto di te, ma non ci aveva detto che eri così..." cercò la parola adatta, "carina."

Non sapevo se prenderlo come una sorta di goffo complimento o come un insulto. Di certo ero la più giovane del gruppo.

"Preferisco essere chiamata 'Sam'" replicai senza pensarci.

"Andiamo, Cameron!" lo riprese il mio ragazzo poggiando un braccio sulle mie spalle.

Il ragazzo alzò le mani in segno di scuse e si sedette. Fu la volta di una tipetta piuttosto minuta, ma col viso già segnato dal fumo e notti passate in giro per i locali: "Scusalo" ridacchiò con un sorrisetto tagliente, "fa sempre così con i nuovi arrivati" disse con un certo tono confidenziale.

Rapidamente mi passarono davanti volti e nomi. Chiacchiere e grasse risate. Erano passate un paio di ore e sempre di più avvertivo la sensazione di sentirmi parte integrante della tappezzeria che stava alle mie spalle. Ogni tanto Luke mi puntava i suoi occhi verdi per assicurarsi che non me ne fossi andata. Sapeva benissimo che non ero dell'umore. Ogni tanto mi versava della vodka nel bicchiere che mi stava davanti. Per un primo momento preferii non bere, ma col passare del tempo iniziai a farlo, anche se sapevo benissimo che non ero per niente brava a reggere l'alcol. Dopo un paio di bicchierini, cominciai finalmente a sentirmi a mio agio.

Era mezzanotte e tre quarti quando il proprietario del locale ci cacciò via. Ci ritrovammo sbronzi e spensierati in mezzo alla strada. Qualcuno vomitò, altri si trascinavano per i marciapiedi ridacchiando e delirando. Io ero appesa al braccio di Luke, come se fosse un appiglio al quale aggrapparmi per evitare di cadere. Si accese una sigaretta e si sedette sul portico di una vecchia casa in vecchio stile trascinandomi con sé. Lo osservai fumare. Tirò il fumo e lo trattene nei polmoni, poi lo rilasciò colorando l'aria, satura di umidità. Mi appoggiai alla sua spalla e chiusi gli occhi. E come se fosse un gesto automatico, mi avvolse con un braccio e mi strinse a sé.

"Grazie per questa sera. So che non sono quel tipo di gente che frequenti, ma ho apprezzato davvero tanto" mi ringraziò e mi baciò la fronte. La voce rauca ed incredibilmente dolce.

Un altro soffio grigio.

"È meglio che ti accompagni a casa" mi disse quando finì di fumare la sua Marlboro. "Non vorrei aggiungere anche l'averti riportata a casa tardi alla lista di tuo padre. Quell'uomo mi odia!" rise e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi. Sorrisi e ascoltai ammaliata il suono della sua risata.

Ci incamminammo verso la motocicletta e non potei fare a meno di pensare che, dopo tutto, quell'ammasso di ferraglia non era poi così male.







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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 17, 2016 ⏰

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