12. Cambio di programma

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Erika

Stavo dormendo accanto a Jason quando squillò il mio cellulare. Sollevai il braccio del mio ragazzo dalla mia vita e mi alzai. Camminai lungo il corridoio, appoggiandomi alle pareti. Barcollando e sbuffando per il fastidio alle orecchie, giunsi in cucina ed afferrai il mio cellulare sul tavolo. Risposi senza guardare.

"Pronto?" dissi con voce rauca.

"Buongiorno, Erika! Sono la mamma!" urlò. Istintivamente allontanai il cellulare dall'orecchio e feci una smorfia di dolore.

"Mamma" sospirai, "buongiorno."

"È successo qualcosa? Ti sento un po' giù..." Iniziò a preoccuparsi ed a sommergermi di domande. La bloccai con un 'sto bene, tranquilla' e sembrò rassicurarsi.

Passammo al telefono circa mezz'ora. Mi raccontò della vita in America, di come procedeva il lavoro di mio padre e della sua iscrizione ad un corso di yoga. Mi riempì la testa di parole che ascoltai solo in parte. Quando mi chiese di me e della scuola, fu il mio turno di annoiarla. Le raccontai tutto quello che mi era accaduto, tralasciando ovviamente gli episodi legati a Jason ed Adam.

Quando riattaccai ed alzai lo sguardo, mi accorsi di Jason, appoggiato alla parete. La maglietta stropicciata, i pantaloncini lasciavano scoperti i polpacci, rivestiti da un leggero strato di peluria. I suoi occhi, che in quel momento mi parsero blu, incontrarono i miei. Gli sorrisi e mi avvicinai. Gli misi una mano sulla guancia e lo attirai a me. Lui mi mise le braccia attorno la vita. Ci baciammo. Poi si staccò e mi disse: "Ti ricordi quando ti dissi che la tua compagnia era quasi gradevole?"

Annuii, cercando di capire dove volesse arrivare.

"Mentivo. Era molto più di un quasi" mi sorrise. Io arrossii e abbassai lo sguardo. Lo abbracciai e nascosi il mio viso nel suo petto.

Volevo dirglielo. Volevo con tutto il cuore dirglielo. "Ti amo" sussurrai. Il petto mi esplose e sentii il mio cuore perdere un battito. "Anche io, Erika" disse lasciandomi un bacio sui capelli. In tutta la vita non ero mai stata così sincera con una persona.

In quel preciso istante il mio cellulare ricominciò a squillare. Sbuffai e Jason si avvicinò al telefono, che avevo lasciato sul bancone. Senza guardare il display, accettò la chiamata e rispose. Io lo guardai sorpresa, cercando di riappropriarmi del mio cellulare. Iniziai a ridere mentre lui discuteva con uno sconosciuto. Camminava per la casa, agitando le mani e conversando energicamente. Cercai di capire con chi stesse parlando e, quando finalmente Jason attivò il viva-voce, capii di chi si trattava.

Zio Peter stava al gioco, assecondando Jason nella sua strampalata lamentela su noi donne e i nostri infiniti disagi mentali. Ridevo. Ridevo di gusto nel vederlo così...diverso. Era cambiato dalla prima volta che lo avevo incontrato e non potei fare a meno di compiacermi. Era un po' anche merito mio. "Adesso basta. Fammi parlare con mio zio" dissi strappandogli il cellulare dalle mani. "Simpatico, il ragazzo" esclamò in tutta risposta. "Mi piace!" aggiunse. 

"Come va, zio?" gli chiesi. E poi, come al solito, iniziò a raccontarmi della sua nuova conquista. Una certa Katheryn, una rossa tutto pepe. L'aveva conosciuta all'aeroporto. Peter era di ritorno da uno dei suoi soliti viaggetti in giro per il mondo e si era imbattuto in questa donna al ritiro bagagli dell'aeroporto di Londra. Lei aveva una valigia davvero pesante e mio zio si era gentilmente offerto di aiutarla a portarla fino al parcheggio. Una cosa tira l'altra e boom! Mio zio aveva trovato l'ennesimo amore della sua vita!

Lo ascoltavo cercando di essere attenta, ma mi risultò parecchio difficile con Jason che mi punzecchiava ininterrottamente. Quando infine mi annunciò che sarebbe venuto a trovarmi, potei concludere la telefonata e dedicarmi alla preparazione della colazione.
"Dovresti sbrigarti o arriveremo in ritardo." Jason stava ancora piluccando qualche fiocco dalla scatola di cereali, sorseggiando ogni tanto del succo d'arancia. Io riponevo velocemente le tazze accanto i fornelli, che avrei lavato nel pomeriggio. Buttai l'occhio sull'orologio ed incitai Jason ad affrettarsi. Era ancora in pigiama e con tutta calma si dirigeva in bagno. "Che hai intenzione di fare oggi?" gli chiesi esausta. Lui alzò la testa e mi osservò attraverso il riflesso dello specchio. "Oggi non andremo a scuola" mi informò, sollevando un angolo della bocca. "Come sarebbe?" dissi sbigottita. "Ho altri piani" aggiunse. 

Dopodiché si avvicinò e mi chiuse la porta in faccia con un sorriso dannatamente irritante. In quel momento pensai che se non fosse stato il mio ragazzo, lo avrei picchiato senza problemi.

Dopo circa venti minuti fummo fuori dal palazzo. Non avevo la più pallida idea di dove stessimo andando e non nascondo che trovavo la cosa abbastanza intrigante.

***
Rimasi sorpresa alla vista dell'insegna dell'ospedale. Lo seguivo con la confusione dipinta in volto. Mi tirava leggermente, facendomi fretta e continuando a ripetere che l'orario delle visite stava per terminare. Giungemmo all'edificio e, non appena le porte automatiche si aprirono, Jason fu accolto dalle infermiere che stavano alla reception. "Jason, da chi mi stai portando?" gli domandai, trotterellando per stare al passo veloce ed ampio del ragazzo. "Da una persona molto speciale" disse passando in rassegna le etichette di ogni singola porta. Di colpo mi apparse l'immagine di una donna in mente. Forse voleva farmi conoscere sua madre. Una madre malata. Questo mi fece venire una forte ansia, che continuava a montare man mano che Jason si avvicinava al numero tanto ricercato. "Ci siamo" annunciò, bussando. Feci un respiro profondo e Jason aprì la porta. Chiusi gli occhi e sperai con tutta me stessa di non fare brutta figura. "Fratellone!" sentii esclamare da una voce dolce ed infantile. Jason lasciò la mia mano e si lanciò verso il bambino, che stava sul letto. Rimasi accanto l'ingresso, lasciando ai due fratelli il loro momento di ricongiunta. Provai un forte senso di tenerezza nel vedere un Jason così affettuoso. Confesso che stava per scapparmi una lacrimuccia.
"Erika, vieni" mi chiamò con un gesto della mano.
Mi avvicinai e abbozzai un sorriso al bambino. "Ciao" gli dissi, "io sono un'amica di Jason" aggiunsi.
"È la mia ragazza" mi corresse con orgoglio il grande. Il piccolo mi sorrise amabilmente e mi invitò a sedermi. "Come hai fatto?" mi chiese mettendo una manina sul viso per coprirsi la bocca e non farsi sentire dal fratello. Risi e gli sussurrai all'orecchio: "Magia." Ridemmo e guardammo Jason con un'aria complice. "Bravo, Jason! È proprio carina" gli disse e mi prese la mano. "È così morbida e profumata."
Sorrisi in imbarazzo e guardai il bambino.
Rimanemmo con Ben, così mi disse di chiamarsi, e parlammo per una mezz'ora abbondante. Al termine della visita, lo salutai e mi saltò addosso quando gli promisi che sarei tornata.

Uscimmo dall'ospedale e Jason mi abbracciò. Mi strinse più forte del solito e mi baciò con tale foga che mi spinse a domandargli: "Va tutto bene?"

"Sono solo felice di averti incontrata." Aveva sicuramente superato il suo limite di dolcezza giornaliero, il che mi indusse a credere di aver veramente compiuto una magia.
"Adesso cosa hai in mente di fare?"
"Adesso si va al mare."
E con queste parole mi lasciò per l'ennesima volta senza parole.

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Buona domenica a tutti! Grazie come sempre per il sostegno e la pazienza. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e soprattutto vi chiedo di continuare a sostenermi come avete sempre fatto.
Fatemi sapere le vostre considerazioni e commenti, che sono sempre ben accetti.
Baci, Harsenick💋

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