3. Lupo solitario

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Jason

Aprii gli occhi e sospirai alla vista di una foto incorniciata sul mio comodino. Devo toglierla pensai mentre la giravo levando su di me gli sguardi dei miei genitori. Mi alzai dal letto barcollando verso il bagno. Erano le 7:13 quando andai in cucina per prendere un boccone. Di solito non facevo la colazione, ma quella mattina mi sentivo estremamente debole. Mi diressi verso la porta, infilai la mia giacca ed uscii. Da quando zia Katy era partita per la California e mi aveva lasciato l'appartamento, continuava comunque a pagare l'affitto. Dopo tutto quello che era successo negli ultimi mesi, aveva deciso di cedermi la casa, visto che nella mia non avevo nessuna intenzione di viverci. Era una persona parecchio strana e folle, ma le volevo molto bene. Quando suo fratello, mio padre, abbandonò mia madre per un'altra donna, lei continuò a starci accanto. Confortò mia madre e mi aiutò a crescere nel miglior modo. All'apparenza poteva sembrare una donna superficiale, ma sotto sotto nascondeva un gran cuore.

Un secondo dopo aver richiuso la porta, vidi spuntare fuori Erika, la mia vicina.

"Buon giorno" la salutai per primo.

Mi sorrise leggermente. "Buon giorno."

Quella mattina indossava una gonnellina a fiori ed una canottiera azzurra, in tinta alla fantasia della stoffa che le copriva le gambe fino al ginocchio. I capelli biondi le cadevano morbidi sulle spalle e una treccina circondava la sua chioma, come una piccola coroncina. Fino a quel momento avevo pensato che la ragazza più bella della scuola fosse Chanel, la sorellina del mio ex migliore amico, ma quando il primo giorno di scuola la vidi, mi dovetti ricredere.

"Anche oggi vai a fare le tue cose?" mi chiese con un sorriso.

"Si" dissi solamente.

I suoi occhi andarono sul pavimento, per poi tornare a fissare i miei.

"Ok" si era voltata e cominciava a camminare "non ritardare" mi disse. Anche se era di spalle, ero sicurissimo che nel pronunciare quella frase lei sorridesse. Ne ero certo.

Andai alla stazione e presi la metro. Ben mi starà sicuramente aspettando pensai mentre risalivo le scale che mi avrebbero riportato in superficie. Ero diretto in ospedale. Fortunatamente era abbastanza vicino e in pochi minuti ero già dinanzi alla porta della sua camera. Aprii la porta e subito venni travolto dall'entusiasmo di Ben.

"Ciao fratellone!" mi urlò non appena mi vide.

"Ehi ometto" lo salutai arruffandogli i capelli.

"Come va a scuola?" mi chiese eccitato.

"Tutto a posto, tu come stai?" gli risposi sedendomi accanto a lui sul lato del letto.

"Bene. Questa mattina mi hanno fatto un prelievo, ma io non ho pianto" mi disse orgoglioso sollevandosi la manica del suo pigiama per farmi vedere il cerotto sul suo braccio.

Sorrisi apertamente. "Sei grande ormai."

"Già" continuò fiero.

Ben era malato dalla sua nascita, però la cosa si aggravò all'età di cinque anni, quando ebbe il primo attacco cardiaco. In quell'occasione mia madre non sapeva cosa fare, era nel panico. Continuava ad urlare ed a stringere Ben tra le sue braccia, paralizzata dal terrore, non pensando minimamente di chiamare l'ambulanza. Fui io a farlo, salvando la vita a mio fratello. Da quel primo attacco, non poté più uscire dall'ospedale. Era dura vederlo rinchiuso dentro quelle quattro mura bianco latte senza avere la possibilità di esplorare il mondo. Mia madre piangeva ogni giorno, era caduta in depressione. Non si occupava più della casa, aveva lasciato il lavoro e stava rintanata nella sua stanza attorniata dalla tristezza e dalla paura di perdere Ben. Cominciò a fare uso di farmaci. Calmanti e sonniferi erano diventati all'ordine del giorno. Ormai non poteva più farne a meno, si era completamente assuefatta.

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