capitolo 16: fiducia

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eravamo così vicini che avevo quasi paura di respirare.
"siete ancora qui?" manuelito c'interruppe, a petto nudo, con l'asciugamano stretta in vita e ancora i suoi riccioli scuri gocciolanti. io presi un colpo, forse troppo presa dall'attimo, e sospirai.
"vi muovete?"
"si, ci muoviamo" rispose secco davide, quando manu se ne andò confabulando cose, tra se e se. poi da' si appoggiò al tavolo coi gomiti, e abbandonò il capo fra le sue braccia. ormai il momento era rovinato. avrei voluto che gli altri lo condizionassero meno.
"sai dove andiamo?" gli chiesi per stemperare l'ambiente. alzò piano la testa, voltando solamente gli occhi nella mia direzione. mi offriva così una prospettiva del suo volto trafilata.
"penso lo stesso di ieri. charlie dice che l'assenzio così non lo fanno da nessun'altra parte. e poi nico rompe
il cazzo." ripensai a quel posto. d'un tratto mi passò la voglia di andarci. probabilmente qualcosa cambiò nella mia espressione, perché anche in quella di davide. poi si raddrizzò del tutto, e io presi a torturare la pellicina del mio pollice.
"è stupido che io ora senta un peso sullo stomaco?" dissi senza pensarci. mi faceva quest'effetto, la sua presenza. forse lui capì in quell'istante.
"merda, non è stupido. e..non devi mica veni pe forza..." si, ma scappando come possono superarsi le paure?
"no, voglio venire." non era del tutto vero.
"restiamo qui a casa" controbatté evidentemente d'impulso lui. lo fissai, spiazzata dalla sua fermezza.
"no, andiamo" risposi allora, quasi a sottolineare quella prima persona plurale. davide intese al volo.
"non ti lascio pe mezzo secondo, va bene?" mi riempii di qualcosa, che tutt'ora non saprei come descrivere. era sicurezza, era casa. sorrisi, dal profondo di me.
"va bene." mi fidai, non sapevo sarebbe stato opportuno non farlo. dovetti prepararmi piuttosto di fretta, ma ne avevo proprio voglia. cercare di farmi bella. per me, o no, che importanza aveva? dovetti coprire le occhiaie, risultati dei postumi della sbornia, con un bel po' di correttore. puntai sul truccare più vivacemente gli occhi, e m'incollai tutte le dita provando anche a mettermi le ciglia finte. quelle cose, io, non le sapevo minimamente fare. indossai un vestito in cotone piuttosto leggero, mi coprii le spalle, le insicurezze, la paura, con una felpa più grande di me. infondo non significava un cazzo. lo stronzo si era avvicinato a me, ed avevo indosso una tuta. quando uscii dal bagno, mi lasciai dietro una scia di profumo. givenchy, l'interdit, il mio preferito di sempre. mi sentivo spoglia, senza di quello. eppure mai avrei potuto immaginare che un giorno, il mio profumo preferito sarebbe divenuto quello di un'altra persona. che l'avrei persino desiderato addosso a me, in ogni momento.
ovviamente aspettavano tutti soltanto me. infilai di fretta le af1 bianche, con gli occhi dei ragazzi puntati addosso. dio, che fastidio. ma appena uscimmo di casa, il fastidio sparì, intangibile. camminavamo sotto le stelle, io a pochissimi millimetri da nic, che blaterava con davide circa alcuni tornei della epic games. ascoltavo perché non sapevo che altro fare, perché forse avevo bisogno di distrarmi, o placarmi, o anche entrambe. ma non bastò, perché arrivammo sul posto prima di quanto avessi calcolato. musica, luci, nulla di nuovo. nuove erano le mie sensazioni e paranoie, ogni volta differenti. avevo una fantasia nel cercare il marcio ovunque stessi, davvero impressionante. sentivo la voce di trippie red in "miss the rage" rimbombarmi fino in gola, mentre stavamo seduti nello stesso esatto posto della sera prima. forse ero più tranquilla, perché io e davide ora ci eravamo riconciliati. più o meno, no? perché eravamo comunque seduti troppo lontani l'uno dall'altra, per i miei gusti, ed era inutile negare come l'idea che tutto fosse diverso, se in compagnia degli altri, mi sfiorò la testa. lui adesso era diverso, e non lo sopportavo. era diverso persino nel modo in cui parlava, gesticolava e si muoveva nel farlo. sembrava non esser più capace di sopprimere quella fottuta apatia. sembrava essersi d'un tratto scordato di quella promessa, mentre parlava con una biondina quasi più bassa di me. allora decisi di accettare il drink gentilmente offertomi da jacopo. presi a sorseggiarlo estremamente piano, fissando il vuoto e non riuscendo più a pensare a nulla. perché forse addirittura il nulla faceva meno male. finché d'un tratto, come sempre, attorno a me cominciarono a scarseggiare le persone. chi diretto al bar, chi a ballare. all'improvviso, seppur in parte me lo aspettassi, quel vuoto al mio fianco fu colmato. mi girai di scatto, ritornando al presente. i suoi occhi nocciola erano vicini ai miei, solo adesso, mi dissi.
"pensavi ti avrei lasciata sola?" a dire il vero, nemmeno me l'ero chiesta.
"no, non avrei motivo per non fidarmi di te." in realtà ne avevo almeno mille. davide sembrò stranamente scosso dalla mia affermazione, e portò le sue mani nelle grandi tasche della sua felpa bianca, supreme per qualche altra marca costosa, che nemmeno avrei provato a pronunciare.
"io si, invece" ebbe le palle di rispondermi, indicando con un cenno della testa il bicchiere che avevo in mano.
"eppure non dovresti, perché è analcolico." non era del tutto vero, ma era certo non si trattasse di qualcosa di estremamente forte, altrimenti già mi sarebbe girata la testa. e poi non ero l'unica a mentire, là dentro. un po', a dire il vero, mi spiacque vedere il suo viso crucciato.
"okay, allora non ti dispiacerà uscire un secondo a farmi compagnia.." con che coraggio?
"per guardarti fumare?"
"guarda, tocca, come te pare. mica so il papi tuo." quando cominciava, non finiva più, terminando solo per risultare insopportabile, ed una testa di cazzo. lo ignorai totalmente.
"dov'è nic?" non mi andava di andarmene da sola, soprattutto senza una meta ben precisa. non dopo l'ultima volta. da' alzò le spalle.
"che ne so. dai erica, usciamo." sta volta non era più una domanda, ma quasi una supplica.
"guarda che se proprio devi fumare, puoi lasciarmi qui anche due secondi da sola. non mi succede niente." ero poco credibile, soprattutto considerando come sapessi che la sua voglia di svignarsela con me, non dipendeva dal fatto che non dovesse lasciarmi sola. tutt'altro. probabilmente era lui a non volerci stare, in solitudine.
"ma che ti prende?" mi stupiva come non ci arrivasse. e poi inevitabilmente mi sentii di star facendo soltanto una scenata, l'ennesima. ma come si dice, ormai c'ero troppo dentro.
"perché vuoi sempre andartene?" io non lo capivo, davvero. lui mi guardò stranito.
"lo sai che non sopporto questi posti.."
"non intendevo questo. perché vuoi che stiamo sempre soli?" lui fece un risolino sardonico.
"se non gradisci la mia compagnia, non pregarmi di dartela, allora." un tonfo nel petto.
"che cazzo hai?"
"io? sul serio? sei tu che n'sai mai quello che vuoi. incolpi me d'esse' indeciso, ma poi te fai la bambina." cercai di ricacciare l'istinto di pianto che riaffiorò dal sentire le sue parole.
"sai cosa penso?"
"no, che pensi?" ribatté con tono infastidito. quel gioco non era più divertente come quel pomeriggio.
"che hai una paura fottuta, davidino, e sai anche di star sbagliando tutto. quindi dai la colpa a me."
"e di cosa avrei paura?"
"di come ti guardano gli altri." non potevo starmene zitta a vedere in silenzio per sempre.
"anche se avessi ragione, cosa c'entra? che te frega?"
"sei uno stronzo egoista, è questo il punto. ti vergogni di me e manco lo sai dire."
"come puoi anche solo pensa' che io mi vergogni di te?" era un paraculo di merda, ed era la prima volta che desiderai smettesse di parlare. per lui, per noi. ma d'un tratto una sagoma ci passò a pochi millimetri di distanza. era nicco, accomodatosi esattamente di fronte a noi. davide si tirò subito a sedere più composto, era teso come lo schifo.
"non è colpa mia se è pieno di stronzi che ci girano intorno" riprese lui abbassando la voce, così che potessi sentirlo solo io. era l'ennesima conferma di ciò che stavo cercando di dirgli.
"potremmo parlare anche davanti a questi stronzi, sai?"
"okay, scusa se penso anche a te e alla tua intimità. davvero, che persona orribile ed egoista che sono!"
"magari stai ancora sotto alla tua ex, è questo il vero problema..." forse non avrei dovuto dirlo. i suoi occhi quasi mi parve cambiarono colore, temperatura, ora più freddi e distaccati.
"sei una bugiarda, di me non ti fidi per un cazzo."
già, e avrei voluto farlo. avrei dovuto,
ma non lo feci.

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