capitolo 14: di notte

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quello che avevo in testa non l'avrei probabilmente capito mai. nemmeno a distanza di giorni, o mesi. però rimase impresso, stampato nella memoria. mentre cercavo di avvicinarmi al suo corpo caldo, avvolta da un alone di gelo, le sue mani provarono ad aiutarmi, spingendomi a sé. lo fece con estrema calma e delicatezza, cinse le sue dita attorno ai miei fianchi, ma comunque un brivido mi percosse la schiena. perché diavolo lo stavo facendo? era quello che volevo, ma non così. quasi mi salì un conato di vomito, se non riuscivo a togliermi quell'immagine dal cervello. oggettivamente non era successo nulla, e comunque per me era tutto. comunque mi aveva rovinato la serata, una persona che non avrei rivisto mai più, se non in un brutto ricordo. mi staccai di fretta da davide, quasi come fosse stato un riflesso, automatico. lo guardai per due secondi in quegli enormi occhi, al buio sembravano neri e senza fondo. poi spostai lo sguardo dinanzi a me, portandomi le mani sullo stomaco. cristo.
"tutto bene?" no, ma non mi andava di farlo complice dei miei guai. pensai che non gli sarebbe nemmeno importato, di come stessi. ed era il vittimismo a parlare, perché chiudendomi in me che vantaggi traevo?
"scusa." fu l'unica cosa che riuscii a dire.
"ora sembri tu quella ad aver bisogno di tempo..." aveva ragione. fingevo di essere quella matura, e poi manco gli parlavo. aveva ragione in tutto, e mi dava un fottuto fastidio. ma io, come lui, sapevo ciò che cercavo da lui. dovevo soltanto fidarmi, e non ci riuscivo mai.
"scusa" ripetei come se non sapessi dire null'altro, quasi senza emozione. ma ne provavo troppe, era quello il punto. da' sospirò. dopo calpestò con le sue nike il mozzicone che si era dimenticato di spegnere tempo addietro. i miei occhi si riempirono di lacrime, perché probabilmente ero arrivata al limite. quel momento in cui vorresti spegnere tutto, il mondo e i respiri dei passanti, il vento che muove piano le foglie attaccate agli alberi. dove vorresti andare oltre, piangere sulla spalla di qualcuno. come se le lacrime fossero buone, ed il male con loro.
"non..non voglio farti preoccupare..io sto bene. ma..ho avuto paura, prima" provai a parlare, ma un po' singhiozzavo. lui mi guardò all'istante in volto, e la sua espressione si addolcì, o così a me parve, ma vedevo annebbiato per via della tristezza.
"di cosa?" ora forse era più allarmato,
che il resto. io cercai di asciugarmi le guance coi palmi.
"e..ero in bagno..non c'era nessuno.."
"che cazzo stai a di? t'hanno fatto del male?" intervenì mentre palpai i suoi, assieme ai miei, battiti aumentare.
"no" lo interruppi guardandolo negli occhi, nonostante mi stessi profondamente vergognando, in quell'istante.
"era..ubriaco, da', e l'ho spinto via. fortunatamente sono entrate due ragazze, subito dopo.." non riuscii a pronunciarmi oltre. lui deglutì, persistendo a fissarmi.
"ti..ti ha.." io presi un lungo respiro.
"no, ha.. allungato un po' le mani, nulla di più" conclusi definitivamente.
"nulla di più..." ripetè dopo di me, ora fissando il vuoto.
"non so nemmeno perché te l'abbia raccontato, è una cazzata.." proseguii rinnegando, mentre dei sensi di colpa che riconoscevo esser infondati si espandevano dentro lo stomaco.
"ti ricordi la sua faccia?" che razza di domande erano?
"certo che me la ricordo, è successo meno di venti minuti fa." davide si alzò dalla panchina, poi mi porse il suo palmo.
"che vuoi fare?" mi tremava la voce. lui sospirò di nuovo. avevo solo bisogno di conforto. solo bisogno di lui.
"voglio che tu stia bene. voglio non lasciarti più da sola." anche la sua voce adesso era rotta.
"mi dispiace..."' riprese forse ora più scoraggiato. io presi la sua mano. avrei voluto che restasse intrecciata alla mia per sempre.
"non voglio tornare là dentro" gli confessai in totale sincerità. mi veniva da vomitare al solo pensarci.
"merda. non ci torniamo, erica. andiamo via." lo disse come se credesse davvero in ciò che diceva. ed io ci speravo.
"dove?" la sua mano stringeva più forte la mia. le sue pupille oscillavano e scivolavano tra le mie iridi, come qualcosa di smarrito tra l'acqua. perché si era perso, in quel momento, ed io con lui. non sapevo quasi nulla di ciò che gli era capitato prima di me, e lui della sottoscritta, infondo. ma mi sembrava adesso di conoscerlo meglio di chiunque altro. lui non rispose, perché sembrava così estremamente fragile dal non riuscir più a dir nulla. se avesse pronunciato parola, probabilmente esse sarebbero uscite troppo spezzate per potermi permettere di legarle ad un senso. mi ero alzata in piedi e adesso ci fissavamo ovunque, l'uno davanti all'altra, lui più alto di me. dopo mi lasciò la mano, come se avesse realizzato all'improvviso che, nella realtà dei fatti, noi due non avevamo poi così tanta confidenza.
"sei stanca?" non sarei riuscita a dormire nemmeno se avessi voluto.
"no."
"allora ti porto in un posto." lo seguii senza farmi domande, del tipo come riuscissi a fidarmi d'un tratto così ciecamente. poi pensai di aver rovinato tutto, poco prima, perché se me ne fossi stata zitta forse avremmo continuato a fare quello che stavamo facendo. invece ora camminavamo a lato della strada, io un po' più indietro di davide.
"lo sai perché mi piace la notte?" chiese all'improvviso, alzando appena la voce per sovrastare il rumore di una macchina che ci passava vicina, abbagliandoci coi suoi fari.
"perché?"
"perché potrebbe durare tipo in eterno." aveva senso ma comunque nemmeno troppo. infatti lo guardai confusa, ma abbastanza divertita.
"ma il giorno arriva lo stesso.." contestai aumentando il passo per stargli appresso, in tutti i sensi.
"si, ma decidi tu quando farlo arrivare. cioè, non tutti vivono a quest'ora. è una scelta tua passare questo tempo come ti pare, tralasciando il dormire. non so se capisci..." stranamente capivo.
"si."
"vuoi dirmi che tu sei più tipa da giorno? azz, non so se riusciremo ad andare più d'accordo, allora.." che coglione, noi d'accordo non ci andavano a prescindere. come cane e gatto, un destino segnato. però mi fece sorridere.
"in realtà anche io preferisco la notte, ma non ci avevo mai pensato prima, al perché."
"io mi chiedo spesso il perché delle cose" intervenì alzando le spalle.
"me n'ero accorta." adesso sorrise anche lui.
"c'è una canzone che mi piace un casino, se mi passi il tuo telefono te la faccio sentire." lo tirai fuori dalla tasca della tuta, per poi inserire il codice. glielo porsi come fosse un movimento totalmente naturale.
"è nel disco di marra" proseguì mentre smanettava col mio iphone. c'era anche lui, in quel disco, e pensai fosse strano che non potessi conoscere ciò che stava per farmi sentire. "persona" era uno dei miei lavori preferiti, tra quelli usciti di recente. infatti riconobbi immediatamente l'intro de "l'anima", con madame.
"...non devono sapere che sei l'anima. sei la mia metà. come sei fatta..nessuno lo sa..." restammo in silenzio ad ascoltare.
"piace molto anche a me" dissi una volta terminata. era la verità. da' mi riporse il telefono ed io lo misi nuovamente via, come nulla fosse appena accaduto.
"dev'esser bello sentirsi dedicare parole del genere" esordì mettendosi le mani in tasca.
"immagino di sì."
"ma poi, sono i fatti che contano, no?" continuai dopo svariati attimi di silenzio. davide alzò lo sguardo su di me, facendomi sentire così piccola.
"immagino di sì."

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